In molti hanno tirato un respiro di sollievo. L’allargamento europeo si è fermato: la Francia di Emmanuel Macron ha detto no all’apertura di una procedura di adesione per la Macedonia del Nord – che a questo scopo ha dolorosamente modificato il proprio nome, uguale a quello di una delle regioni della Grecia – e per l’Albania, che ha forti legami storici con l’Italia. Non è stata però una mossa felice: non per Macron, la sua strategia europea, indubbiamente ampia, diventa nelle migliore delle ipotesi contraddittoria, né per l’Europa stessa.
Un allargamento solo economico?
Macron ha tentato di giustificare la sua mossa negando la natura strategica dell’allargamento: «Vi invito a valutare – ha detto nella famosa intervista all’Economist sulla Nato in stato di ‘morte cerebrale’ – la coerenza di questo metodo che consiste nel dire: “il cuore della nostra politica estera è la politica dell’allargamento’. Vorrebbe dire che non pensa più alla sua influenza che in termini di adesione, in particolare al mercato unico. È il contrario dell’idea di un’Europa potenza. È l’Europa mercato»
Problemi costituzionali
Il presidente francese, in alternativa, non pone però una strategia diversa, ma un problema pratico. Serio ma non rappresenta certo un ostacolo a una visione di lungo periodo. «Non siamo in grado di far funzionare [l’Europa] a 28 oggi, a 27 domani. Pensate che le cose andranno meglio a 30 o 32? E se mi rispondono: “Se si apre oggi, si parla di 10 o 15 anni [per completare l’adesione]”’, questo non è onesto verso i concittadini di quei paesi». L’idea di Macron è di investire in quei paesi, ma non aprire un processo a suo dire burocratico; e di rivedere le procedure di adesione, rendendole eventualmente reversibili.
Un processo strategico
Sono molte le contraddizioni in queste parole di Macron: l’allargamento europeo non è stato e non è solo un processo economico, è un processo politico, strategico, di primaria importanza. Dopo il crollo del muro di Berlino ha riempito un vuoto di potere importante, nel confronto con una Russia che ancora oggi fatica a non considerarsi come contrapposta all’Europa in nome di una politica di potenza ‘vecchio stile’ e che nsidia in tutti i modi possibili il progetto europeo . (Lo stesso Macron, recuperando la sua visione strategica, ha spiegato che, sotto la pressione della Cina (e in futuro forse anche dell’India, a una Mosca non più putiniana, evidentemente, non resterà che avvicinarsi all’Europa. Occorre però fare in modo che sia – nella peggiore delle ipotesi – un incontro tra ‘eguali’.
La paura delle sfide geopolitiche
L’allargamento ha dato una prospettiva importante a tutti i Paesi (anche ai bellicosi Balcani, che oggi possono ragionevolmente sentirsi traditi) che erano nell’area sovietica e che sono usciti dalla terribile esperienza del comunismo. Il populismo che in alcuni di quegli Stati si manifesta come euroscetticismo mostra che una parte delle élites e delle popolazioni di quei paesi – e, per motivi diversi, di Italia, Spagna e Francia – ha paura delle sfide poste dall’evoluzione geopolitica del mondo e dalla costruzione europea, la quale è tutto tranne che burocratica o ‘economicista’ come vorrebbe invece Macron; ma significa anche che è finita, per molti motivi, non tutti lodevoli né ragionevoli, la paura della Russia.
L’idraulico polacco
È vero che quell’allargamento ha generato problemi. Innanzitutto l’aumento dell’offerta di lavoro, con evidenti pressioni sui salari, favorite dalla delocalizzazione e dalle migrazioni interne (il famoso idraulico polacco dalle basse tariffe…). Poi l’allontanarsi, da parte di Polonia e Ungheria del solo quadro di regole davvero compatibile con l’Europa, la sua storia, la sua cultura e le sue istituzioni: la democrazia liberale (e i suoi sviluppi storici). È noto, del resto, che ogni forma di interdipendenza crea frizioni. Da gestire, senza demonizzarle.
Le velocità dell’Europa
Non sono problemi insormontabili. La Germania – per fare un esempio, che non è necessariamente l’unico modello – ha agevolmente affrontato il primo problema, moderando la crescita dei salari in cambio di una delocalizzazione limitata (ma per questo obiettivo occorre un rapporto aziende-sindacati più stretto di quello esistente, per esempio, in Italia). Il secondo, è vero, richiederà un po’ più di creatività. Forse l’idea, più volte ventilata, di approfondire la struttura ‘a più velocità’ dell’Europa può essere una soluzione: permettere ai paesi già pronti di andare avanti, approfondendo il progetto europeo, e creando un polo di attrazione per gli altri. Alcuni programmi franco-tedeschi, anche nella difesa, sembrano andare silenziosamente in questa direzione.
Le ragioni dell’allargamento
Perché, però, allargarsi ancora? Andando, oltretutto, in una direzione impolitica, che sarebbe poco capita da molti (ma non tutti) cittadini europei. Perché, come ricordava nel 2008 Parag Khanna in The Second World. Empires and Influences in the New Global Order (non a caso tradotto in italiano come I tre imperi. Nuovi equilibri globali nel XXI secolo), «L’Europa deve espandersi, […] l’alternativa è la morte». Esattamente come avveniva per l’impero romano. Khanna sottolinea soprattutto gli aspetti economici: il declino demografico e l’aumento della manodopera disponibile.
Age of Empires
In gioco, in realtà, c’è molto di più: il ruolo che potranno avere i singoli paesi europei in un mondo che sembra aggregarsi intorno a ‘imperi’, più o meno democratici. È facile immaginare il destino degli Stati Uniti, che fin dalla presidenza Obama sta rivedendo le proprie priorità a favore dell’area del Pacifico, e quello della Cina, che pur essendo ancora ‘povera’, è per le sue dimensioni uno stato già oggi molto potente e prospero: saranno i protagonisti (se eviteranno ovviamente le possibili sorprese della storia: il prevalere delle forze centrifughe e delle tensioni sociali e politiche negli Usa, il crollo del Partito comunista cinese, la disgregazione di un paese comunque diversificato). Russia e India sono invece molto condizionate da tanti fattori, primo dei quali la geografia, che la pone in diretta competizione con la Cina, che non tollererà vicini troppo potenti.
Il destino nelle proprie mani
Il destino dell’Europa, invece, è davvero nelle sue mani. Per la sua cultura – che nel tempo è diventata sempre più profondamente aperta e cosmopolita – per le sue potenzialità economiche e politiche, e per la collocazione geografica, che la pone – Russia a parte – lontana dai suoi grandi ‘concorrenti’. «La Ue – aggiunge Khanna – è di gran lunga l’impero più benvoluto e meglio riuscito della storia, perché invece di dominare, educa»: ha educato molti paesi, anche alcuni non destinati immediata all’allargamento, alla democrazia, alla libertà, all’economia moderna. È, anche giuridicamente, un impero senza sovranità (o meglio, dal momento che la sovranità è un mito, senza pretese di sovranità), che lo rende molto più attraete.
L’insidia russa
L’effetto del “no” di Macron, oggi, è quella di dare un vantaggio alla Russia di Vladimir Putin, che –ricordiamolo – ha riportato la guerra in Europa, con l’annessione della Crimea. Angela Merkel, in visita a Roma l’11 novembre, lo ha spiegato chiaramente: «Se [nei Balcani] si apre un vuoto, questo vuoto sarà colmato da altri e questo non corrisponde al nostro interesse strategico europeo». La Russia, da sempre interessata ai Balcani, sta già facendo passi avanti e concederle una roccaforte nel cuore dell’Europa è un errore strategico.
Una prospettiva francocentrica
La Cancelliera tedesca si è quindi mostrata più lungimirante e consapevole di Emmanuel Macron che pure, su altri temi, è portatore – spesso l’unico – di una visione europeista di grande respiro, criticabile ma finora non imitata. Le sue contraddizioni sui Balcani, frutto probabilmente di un timore ‘elettorale’ (il Rassemblement National di Marine Le Pen è un’insidia costante) hanno anche uno sgradevole effetto collaterale, quello di alimentare l’eterno sospetto che grava sulla Francia (ma non solo lei): quello di parlare di Europa in una prospettiva molto francocentrica.
Offrire prospettive
La strategia dell’allargamento, con tutti i problemi che pone –si pensi, come ha invitato a fare lo stesso Macron, alla Bosnia Erzegovina, delicato esperimento di convivenza di comunità in latente conflitto tra loro – va invece approfondita. L’Europa deve continuare a svolgere il compito finora perseguito. Creare un’ampia area di Pax Europea – in questo senso la provocazione anti-Nato di Macron va nella direzione giusta, sia pure in una prospettiva di lunghissimo periodo – e dare la stessa prospettiva offerta ai Paesi dell’Europa Orientale ai Paesi balcanici.
Verso l’Africa e il Medio Oriente
Poi occorrerà andare anche oltre. Con altre forme. L’allargamento, in senso stretto, non può andare avanti in modo indefinito. Se non altro, occorre davvero superare i limiti costituzionali che si stanno già manifestando (e che Macron ha ricordato, sia pure con intenti non condivisibili). La stessa prospettiva di pace e prosperità – l’Europa, tra mille problemi, è molto più libera, prospera e invidiabile di tantissimi paesi del mondo – va però offerta ai vicini Paesi dell’Africa e del Medio Oriente, anche per risolvere il problema dell’immigrazione.
L’Europa dalle porte chiuse
“Aiutarli a casa loro”, come spesso si auspica, è solo uno slogan. Illusorio, se si pensa a qualche aiuto fornito per costruire infrastrutture destinate a un veloce degrado in assenza di manutenzione. Vale piuttosto la pena di ricordare in passato che hanno bussato alle porte dell’Europa, ricevendo un rifiuto, Marocco e Tunisia. La difficile Turchia ha trovato porte chiuse per troppo tempo (e sempre per ragioni di politica interna), e non è azzardato immaginare che con prospettive diverse il Paese – pur diviso sul tema europeo – avrebbe avuto una differente evoluzione politica. Il Medio Oriente, i cui problemi sono stati finora aggrediti con strumenti militari, è troppo vicino e troppo bellicoso per non valere un tentativo, soprattutto alla luce del graduale disimpegno americano e dell’attivismo russo (e turco).
Nuove forme di integrazione
Occorre trovare forme di integrazione, diverse da quelle offerte dall’allargamento che non può essere spinto troppo oltre, anche per queste aree. Iniziative non mancano, a cominciare dall’Unione per il Mediterraneo ma restano molto timide rispetto alla sfida che quelle regioni pongono all’Unione europea. Per approfondirle occorrono sicuramente ambizione e coraggio – sull’area insistono Usa e Russia, mentre la Cina tenta di trovare un suo spazio – e per questo motivo la politica estera europea, finora molto limitata, deve diventare una priorità. Anche più, forse, della costruzione – ineludibile – di una difesa europea.