Parla di occupazione la Draghi-economics

La Draghi-economics prende forma. Nulla di originale, come lo stesso presidente della Bce ha spiegato a Barcellona. È vero però che prima con il fiscal compact e poi con il growth compact, è stata la sua voce a dettare un’agenda a Eurolandia, e persino a darle un linguaggio. Sorprende un po’ che nessun politico ci abbia pensato prima, dal momento che queste ricette sono ampiamente note agli economisti, ma è così: la cultura della classe politica, e di ampi settori della classe dirigente, non è adeguata alla situazione.

Da Barcellona una nuova parola è quindi entrata nel vocabolario: occupazione. Ancora una volta, nulla di nuovo; ma finora il tema è rimasto un po’ sotto traccia, nascosto com’era dall’enfasi – comunque nuova, dopo mesi di discussioni sul rigore fiscale, e non certo fuori luogo -  sulla crescita.

Non c’è però l’idea di farne un obiettivo della politica monetaria, come molti governi sperano. La Bce manterrà una politica espansiva – anche se Draghi ha misteriosamente fanno cenno a un annuncio di giugno sul soddisfacimento delle domande di liquidità nelle aste – perché non vede rischi sull’inflazione e perché le crescenti incertezze sulla crescita rende ancora «prematura» parlare di exit strategy; ma la politica monetaria si occupa di moneta, di inflazione, al massimo di pil nominale. Gli effetti sulla crescita e sull’occupazione ci sono, ma sono incerti e non sempre duraturi.

Non c’è neanche più l’idea di resuscitare lo stimolo fiscale. Non solo perché il fiscal compact lo impedisce. Non saranno i trasferimenti di reddito – su questo Keynes sarebbe d’accordissimo, molti "keynesiani" no – a far ritornare la crescita. Sussidi alla disoccupazione sono necessari, si può aggiungere, ma non certo in chiave anticiclica. Le spese correnti (non quelle di capitale…) vanno quindi tagliate, ha detto e ripetuto Draghi, evitando la strada facile delle nuove tasse.

In questo senso, ha aggiunto Draghi, «non c’è alcuna contraddizione tra fiscal compact e growth compact». I nuovi posti di lavoro devono essere creati dal settore privato, le cui energie vanno liberate; e, in tono minore, dal settore pubblico attraverso investimenti in infrastrutture. Nulla di diverso da quanto aveva annunciato di fare, a favore dei lavoratori con meno competenze, Barack Obama, anche se consumi e investimenti pubblici, negli Usa, sono in realtà in calo da mesi. Lanciato dalla Spagna, dopo il crollo del settore delle costruzioni, il messaggio assume una valenza particolare.

Occorre continuare con le riforme strutturali, ha poi insistito Draghi, ricordando- per fare un esempio – che senza interventi sui mercati dei prodotti (ma non vanno dimenticati quelli dei servizi…) tali da creare più concorrenza, le riforme sul lavoro non daranno risultati. Questo, come ha ricordato venerdì 25 aprile il ministro degli Esteri spagnolo José-Manuel García Margallo, significa "toccare" anche gli interessi delle élites protette dallo Stato. Forte, e vero, è anche il richiamo agli obiettivi delle riforme sul lavoro: non solo flessibilità, ma anche «mobilità ed equità» tra le generazioni, in una situazione come quella attuale, «squilibrata contro i giovani».

Soprattutto, occorre che tutto questo – pur tenendo conto delle differenze tra i vari paesi – si traduca in una comune disciplina europea, che vincoli i governi esattamente come il fiscal compact. Forse bisognerà andare anche oltre: occorre raccontare, ha aggiunto Draghi, dove l’Europa vuole essere tra dieci anni, come è stato fatto con il lancio del progetto dell’euro. «La chiarezza sul nostro futuro» è importante per la crescita ha detto Draghi. La chiave di tutta la politica economica – e soprattutto di quella monetaria… – è nella gestione coerente delle aspettative; ma si fa ancora molta fatica a capirlo.