L’obiettivo dimenticato della Banca centrale europea

Un tempo gli obiettivi erano due: la Banca centrale europea non si curava soltanto dell’inflazione, che doveva essere al di sotto del 2% (e ora “al di sotto ma vicino al 2%, per evitare il rischio di deflazione). Puntava anche a mantenere la crescita della massa monetaria M3, che comprende moneta, conti correnti, depositi e obbligazioni di durata inferiore a due anni, al 4,5%. Con tutta la flessibilità necessaria.

Tradotto in termini un po’ più concreti, questo significava una sola cosa: che la Banca centrale europea aveva, oltre a un obiettivo per l’andamento dei prezzi, anche un obiettivo “implicito” per la crescita del Prodotto interno lordo nominale, che è la somma dell’inflazione e della crescita “reale” di cui si occupano le cronache finanziarie. L’aggregato è importante perché rappresenta le risorse a disposizione, ogni anno, per pagare i debiti.

Così è stato: la Banca centrale europea ha tenuto a lungo la crescita del Pil nominale attorno al 4-4,5%. Anche la regola del deficit pubblico al di sotto del 3% del pil (reale) era del resto legata a questo obiettivo implicito: mantenendo quella velocità di crociera nominale per l’economia e rispettando quel limite massimo per i disavanzi, nel tempo il debito pubblico del paese sarebbe automaticamente calato fino al 60 per cento. Senza drammi, senza austerità.

Qualcosa è andato storto. I dati del 30 maggio hanno mostrato che, ad aprile, M3 di Eurolandia è aumentato del 2,5% annuo. È molto poco, e le cose vanno avanti così da diverso tempo. È da maggio 2009 che l’aggregato cresce a un ritmo inferiore a quello di riferimento, si è persino contratto tra novembre 2009 e maggio 2010 e da allora non ha mai superato – tranne a marzo scorso – la soglia del tre per cento. In alcuni paesi, tra cui l'Italia, le cose vanno anche peggio. È  l’effetto del deleveraging del sistema bancario e finanziario, ma questo non significa che il fenomeno sia positivo.

Se si tiene conto che nel frattempo la velocità degli scambi è rallentata e che il pil nominale non è altro che questa velocità moltiplicata per la massa monetaria (per definizione, l’equazione degli scambi è MV = YP, cioè moneta per velocità è uguale a prodotto per prezzo, il pil nominale), occorrerebbe infatti molto più della crescita del 4,5% di M3 per tenere l’incremento del pil nominale al livello – un tempo? – desiderato.

Naturalmente le cose non sono così semplici. Aumentare M3 può scatenare l’inflazione, nel lungo periodo. Dal 2001 allo scoppio della crisi, si potrebbe argomentare, la massa monetaria è cresciuta, in media, al 7,9% annuo senza disancorare le aspettative di inflazione. Nulla però esclude che in futuro, in un regime diverso, l’economia si comporti diversamente. Lars Christensen, economista alla Den Danske Bank, usa però la stessa equivalenza per calcolare l’inflazione di lungo periodo implicita nell’attuale crescita di M3, e giunge al -0,5% (o, con presupposti diversi e forse più realistici, quota zero). M3, ne conclude, oggi non è inflazionistico: è deflazionistico.

Per Christensen è facile argomentare come la Bundesbank, che ha voluto con forza inserire M3 e l’analisi monetaria nella strategia della Banca centrale europea, possa dormire sogni tranquilli. In realtà ai tedeschi interessano i prezzi tedeschi, dando quasi l'impressione di pretendere che le economie reali dei partner si adeguino alle necessità monetarie della Germania.

È un gioco delle parti, probabilmente, al quale la Bce  nell’attuale sistema – non può che rispondere in un solo modo, attenendosi alle sue proprie regole, rigorosamente “monetariste”: obiettivo di inflazione al 2% – tenendo conto di quanto siano ingestibili alcuni prezzi, come quelli di petrolio e alimentari – e obiettivo implicito per il Pil nominale del 4,5%, come rappresentato da M3, che quindi deve crescere, e tanto. Per tutta Eurolandia.

  • Mundell |

    “In realtà ai tedeschi interessano i prezzi tedeschi, dando quasi l’impressione di pretendere che le economie reali dei partner si adeguino alle necessità monetarie della Germania.” Mi pare che questa osservazione sia molto vera. É in effetti ciò che l`osservatore esterno percepisce. L`avvenuto trasferimento della sovranità monetaria senza trasferire anche le competenze economiche e prevedere un controllo democratico fa prevalere le visioni di corto periodo e coloro che non vedono al di là del loro giardinetto dietro casa. Da cui tutte le considerazioni sul fatto che l`euro non sarebbe nato all`interno di un`area monetaria omogenea. Certo che non è omogenea. Mancano le strutture politiche che consentirebbero di ridurre le divergenze economiche.

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