La lista dei detrattori è lunga. A volte sembra che Benedetto Croce sia stato il responsabile di tutti i difetti della cultura italiana. La sua immagine è ormai quella di un polveroso pensatore passatista, da ricordare solo per la chiusura che avrebbe imposto al nostro Paese. È impensabile davvero rileggerlo oggi?
Un filosofo all’Indice
Tutti sembrano criticarlo aspramente. I cattolici lo hanno disprezzato perché per lui la Chiesa – e non il cristianesimo – in quanto nemica della libertà, era stata una presenza negativa nella storia del XIX secolo (e forse anche oltre); la sua inoltre era una filosofia dello spirito, atea e non materialistica, difficile da attaccare con le facili etichette tanto care ai “partigiani” delle gerarchie ecclesiastiche. Le opere di Croce finirono all’Indice.
Uno scandalo per i comunisti
Croce era inclassificabile anche per i comunisti, che lo disprezzarono perché liberale e conservatore, ma non liberista, e allo stesso tempo antifascista. Croce era inoltre stato, in gioventù, uno dei protagonisti del revisionismo marxiano europeo, da posizioni liberali, critiche verso Marx ma attente al suo pensiero. In più, Croce diceva di Antonio Gramsci che «come uomo di pensiero era uno dei nostri»… Uno scandalo, per tutti gli ortodossi.
Conservatore e antifascista
I fascisti lo hanno perseguitato perché, dopo un breve sostegno iniziale, aveva capito la natura autoritaria e “arbitraria” del movimento e aveva proposto e ispirato il Manifesto degli intellettuali antifascisti, firmato da nomi illustri della cultura italiana.
Liberale ma non liberista
I (neo)liberali lo hanno considerato un falso liberale perché si era rifiutato di considerare il liberalismo un partito in lotta con gli altri – anche se aveva fondato il Partito liberale – ma soprattutto perché si era rifiutato di far coincidere il liberalismo con questa o quella istituzione, evitando per esempio, nella polemica con Luigi Einaudi, di fare del mercato – uno strumento – un totem, un valore assoluto.
Un nemico per scienziati e filosofi
Gli scienziati lo hanno disprezzato perché scettico nei confronti della scienza. I filosofi lo hanno disprezzato perché non era un docente accademico, non era neanche laureato e forse anche perché scriveva in maniera chiara (il suo italiano, al di là di qualche formula ormai vetusta, è di un’eleganza esemplare): Croce non ha forse l’allure dell’ermetico Heidegger, ma non è per niente un pensatore “facile”. Gli studiosi della generazioni successiva alla sua, lontani dall’idealismo e dallo storicismo, non hanno trovato motivi per leggerlo, né consigli a farlo.
Croce ed Eco
Ancora nel 1991, in un mondo culturalmente diversissimo da quello di Croce, Umberto Eco – uno studioso peraltro rigoroso – in occasione della ristampa dell’Estetica si sentì in dovere di prendere le distanze dal filosofo napoletano. Il saggio Croce, l’intuizione e il guazzabuglio – dove ‘guazzabuglio’ vuole suggerire, anche se la dimostrazione è incompleta, il carattere vero dell’estetica crociana – meriterebbe una lunga analisi: è un esempio perfetto di strawman fallacy (la fallacia dello spaventapasseri): astraendo totalmente la proposta crociana dal contesto – errore grave per un semiologo – e scegliendo citazioni ad hoc l’autore disegna un “Croce” lontano da quello reale ma funzionale alla sua argomentazione e lo critica quindi molto agevolmente, con pochi tratti. Manca il bersaglio, ovviamente, ma il lettore che non ha letto Croce potrebbe non accorgersene.
La lettura liberatoria di Dewey
Il momento più alto del saggio è quando Eco parla della lettura liberatoria, da parte della sua generazione, di Art as Experience di John Dewey, un testo che però Croce considerava piuttosto positivamente e molto vicino, al di là del linguaggio, alla propria concezione dell’arte (malgrado le critiche all’impostazione crociana in esso contenute): «La sua Estetica, venuta fuori nel 1934 giungeva circa l’arte, quasi in ogni punto, le medesime conclusioni alle quali era giunta l’estetica italiana [ossia la sua…] nei trenta anni precedenti», scrive nell’Estetica del Dewey , ora in Indagini sullo Hegel e schiarimenti filosofici (p. 296) [ma si veda anche Intorno all’Estetica del Dewey, la Critica vol. 38, 1940, poi in Discorsi di varia filosofia II, 112-19)]. Quel che c’era di diverso e di nuovo, secondo Croce, era più formale che sostanziale. Non a caso, negli Stati Uniti Art as Experience fu criticato perché giudicato lontano dal pragmatismo professato dallo stesso Dewey e più vicino, sia pure ecletticamente, all’idealismo.
Un autore “troppo” polemico
È allora possibile che Benedetto Croce sia stato vittima anche di altri fraintendimenti? O, peggio, di mode letterarie e culturali che lo hanno messo al bando, mentre magari può ancora essere letto con profitto? Il sospetto è legittimo, anche se un post su internet non è sufficiente per esaminare tutta la questione. Sicuramente Croce è vittima oggi della sua stessa vis polemica, molto brillante, e dei giudizi netti che esprimeva anche in trattati teoretici – su poeti, scrittori e correnti di pensiero. Giudizi e opinioni personali, non necessariamente deducibili dalla sua filosofia, non hanno aiutato e oggi occorre sicuramente liberarsi del peso delle espressioni sprezzanti del filosofo napoletano e andare al cuore del suo pensiero. In questo, lui stesso è un esempio, rispetto ad alcuni suoi epigoni: è vero, per esempio, che non apprezzava personalmente l’antropologia, perché preferiva studiare il pensiero di Kant e non quello di una tribù africana, ma nonostante tutto sostenne l’allievo Ernesto de Martino nei suoi studi etnologici.
Pseudoconcetti e modelli scientifici
Sulla fortuna della filosofia di Croce ha pesato anche una terminologia non sempre felice. La grande polemica con gli scienziati nasce dal fatto di aver voluto definire i concetti scientifici “pseudoconcetti”. Croce voleva, in questo caso, essere polemico, e sapeva bene che quella definizione era fonte di equivoci: aveva preferito questa terminologia a quella classica di «concetti logici» per «ricordare la modestia», scrisse, più che agli scienziati, ai positivisti, a chi voleva fare della scienza una filosofia: Croce ha sempre cercato di difendere il discorso filosofico da quello scientifico ( e, va ricordato, il discorso scientifico da quello filosofico: Croce, a differenza di altri pensatori, non voleva sostituirsi agli scienziati ).
«Tutti i modelli sono sbagliati»
Croce non aveva grande dimestichezza con la scienza. I suoi pseudoconcetti, per come sono definiti – lui le chiama anche «finzioni concettuali» – non sono però molto diversi da quelli che oggi sono definiti modelli scientifici e «tutti i modelli – ha spiegato lo statistico George Box in diversi testi dedicati alla scienza in generale – sono sbagliati, ma alcuni sono utili». È proprio sotto la categoria dell’utilità – che però ha affaticato il filosofo per decenni e che resta problematico quando cerca di inglobare scienza e matematica –che Croce fa rientrare i “modelli” scientifici, che devono guidare l’azione e non la conoscenza. Le sue idee sulla scienza, del resto, gli sono state ispirate dall’opera del fisico Ernst Mach e del filosofo Richard Avenarius – che hanno influenzato sia l’empirismo logico che il pragmatismo – e quella del matematico Henri Poincaré, portatore di un approccio “convenzionalistico” alla scienza e alla matematica. Pensatori e scienziati non certo avversi alla scienza.
Modelli privi di interpretazione
L’idea che un modello non debba essere necessariamente realistico ma utile è diventato comune, per esempio, in economia: in un saggio del 1953 (The Methodology of Positive Economics) Milton Friedman individuò nella capacità di prevedere il futuro il criterio per accettare o respingere una teoria. Più in generale, lo sviluppo del machine learning ha messo a disposizione di scienziati e analisti modelli statistici che sono utili, in genere per la previsione o per la decisione, ma per nulla interpretabili in senso realistico. Il cuore delle reti neurali, che sono alla base dell’intelligenza artificiale, è una scatola nera (black box) matematica che permette ai computer, per esempio, di leggere la scrittura a mano o riconoscere i volti delle persone, ma che raramente ha un “significato” interpretabile. Molti scienziati tradizionalisti sono a disagio con questi modelli, ma… funzionano.
La matematica “platonica”
È il rapporto con la matematica – che Croce conosceva davvero poco – a essere problematico nel pensiero del filosofo napoletano. Sicuramente la filosofia crociana non è molto compatibile con l’approccio dominante alla matematica, quello legato alle figure di David Hilbert e, sul piano filosofico, a Gottlob Frege e Bertrand Russell: è l’approccio platonico o realista, che considera gli oggetti matematici come reali. Il progetto di deduzione logica della matematica ha però avuto un successo solo parziale e ha incontrato i suoi limiti con il teorema di Gödel.
L’intuizionismo di Brouwer
Gli approcci alternativi alla matematica non hanno ricevuto, dopo questa impasse, la dovuta riconsiderazione – anche se il loro sviluppo continua – e appaiono molto più compatibili con l’approccio convenzionalistico a cui Croce fa idealmente riferimento. L’origine comune è in molti casi l’impostazione intuizionistica di L.E.J. Brouwer – che va liberata dal misticismo del matematico olandese – e quindi alla logica intuizionistica, e a tutte le forme di costruttivismo matematico. Per queste correnti, in matematica un oggetto esiste se può essere costruito, ed è quindi un prodotto dello spirito. Non essendo né universali né concreti, né riferiti alla realtà, questi oggetti costruiti rispondono a criteri di utilità, sia pure intesa in senso molto ampio.
Verità e certezza
Croce è molto duro – nella sua Logica come scienza del concetto puro – nei confronti della matematica, e questo ha dato a matematici (e logici) l’occasione per criticare la filosofia crociana. La Logica è – purtroppo – permeata dalla polemica contro il positivismo. Una riconsiderazione del ruolo della matematica nell’ambito della filosofia crociana impone allora di restare fedeli allo spirito di Croce, ma non certo alla sua lettera. Nell’impostazione crociana, alla matematica sfugge la verità, ovviamente filosofica: un approccio opposto a quello di René Descartes, secondo il quale la certezza matematica è garanzia della sua verità. Se il nesso certezza-verità è spezzato, resta il fatto che il mondo della matematica, e quello della logica, è il mondo della certezza – garantita dal loro rigore – e solo questa certezza può renderle utili.
Ritorno a Vico
Questa certezza, questo rigore, la natura costruita della matematica non le danno un ruolo diverso a quello delle scienze? Forse, in questo caso, occorre aprire la filosofia crociana tornando alle sue fonti, a Giambattista Vico, il filosofo di riferimento dei costruttivisti di oggi: nella prima fase del suo pensiero si può trovare una concezione molto alta, e quasi cartesiana – in un autore considerato anticartesiano – della matematica, pur in un approccio decisamente costruttivistico. Croce ne è consapevole e sia pur criticandole, discute queste idee, con un’apertura un po’ diversa rispetto alla Logica, in La filosofia di Giambattista Vico e nelle Fonti della gnoseologia vichiana.
La «logistica»
Analogo discorso può essere fatto per la logica: per Croce la logica è la scienza del concetto puro e alla logica formale, o logistica, affida un ruolo pratico, al suo tempo peraltro non certo evidente (oggi, con lo sviluppo dei linguaggi di programmazione, del machine learning e dell’intelligenza artificiale, il panorama è totalmente cambiato). Di fronte al tumultuoso sviluppo della logica formale e matematica, e delle loro applicazioni pratiche, alcune delle parole di Croce appaiono meno che ingenerose. È anche vero, però, che lo sviluppo della disciplina ha portato a rinunciare all’idea di una logica unica, e alla moltiplicazione di insiemi alternativi di assiomi logici, che danno vita a sistemi internamente coerenti, da utilizzare in base alla loro… utilità. Anche l’idea di Brouwer – e i suoi sviluppi di Arend Heyting e altri – della logica formale come dipendente dalla matematica – e non il contrario – sembra inoltre riaprire una possibilità per l’integrazione della logica in un’impostazione costruttivista compatibile con un pensiero crociano “rivisitato”.
Economia come matematica applicata
Le uniche scienze con le quali Croce aveva una qualche dimestichezza non erano del resto scienze della natura, ma la fonetica e l’economia. È proprio discutendo di economia che il filosofo napoletano mostra un grande acume e molta lungimiranza: per lui la scienza economica è una forma di matematica applicata. Se si pensa a cosa sia diventata – giustamente – l’economia oggi, sia nella parte teorica, dove domina la formulazione di teoremi, sia quella empirica, dove le tecniche statistiche sono centrali, si capisce che Croce aveva correttamente individuato il ruolo dell’economia.
Contro il liberismo
Quando si parla però di Croce e dell’economia viene in mente subito la discussione con Einaudi sul liberalismo e il liberismo. Croce sa bene che il liberalismo è meglio garantito laddove si moltiplicano i centri di potere. Si rifiuta però di far dipendere la libertà, che per lui è la libera energia creatrice dello spirito, da questa o quella istituzione e in particolare dal mercato. Da attento studioso di Marx, ha persino ammesso, in astratto, che si possa discutere di liberalismo comunista, o socialista, pur mantenendo personalmente un forte scetticismo. È una posizione che il neoliberalismo non gli ha perdonato, ma che gli ha evitato le contorsioni di Luigi Einaudi – in questo discepolo di Wilhelm Röpke – il quale distingueva il capitalismo storico dall’economia di concorrenza, che per quanto… “utile”, resta un’idea un po’ astratta, quasi da “anima bella” dell’economia.
La libertà è il bene, l’arbitrio il male
Benedetto Croce si è sempre rifiutato di fornire una definizione politica della libertà. Per lui libertà coincide con la creatività dello spirito, e – in quanto un concetto puro – non può essere né rappresentato né definito una volta per tutte. La concezione crociana della libertà è tutta da (ri)scoprire. Nella Filosofia della pratica. Economica ed Etica, un testo dimenticato e da riscoprire, Croce identifica la libertà con il bene e già questo passaggio è molto fecondo di ulteriori sviluppi. Ancora più interessante è però la sua idea di male: l’opposto della libertà non è la costrizione, come avviene in molti neoliberali (i quali devono però aggiungervi il raggiro, per evitare conclusioni “sgradevoli” o disutili), è piuttosto l’arbitrio. È un’opposizione, questa, che apre – di nuovo – molti orizzonti, ma soprattutto toglie alcuni gravi equivoci al concetto di libertà. La libertà è universale o non è.
Il costruttivismo moderato di Croce
In termini di filosofia lo storicismo assoluto di Croce, una forma di costruttivismo moderato – moderato dalla sua dialettica dei distinti – può essere una valida alternativa – come aveva già notato Carlo Antoni, l’allievo che inizio a sviluppare il pensiero del maestro verso dimensioni nuove – sia al costruttivismo radicale di Fichte, Hegel (e quindi, almeno in parte, Marx), Nietzsche (tra Hegel e Nietzsche ci sono più affinità di quanto si voglia immaginare) e quindi del mondo della Nietzsche-Renaissance (Deleuze e i deleuziani, innanzitutto) sia al pensiero di Heidegger, e del suo Esserci pastore dell’essere, schiacciato dal Gestell, l’apparato, in attesa angosciosa che un nuovo dio si disveli. L’impostazione convenzionalista della matematica e della logica formale, che il suo pensiero è in grado di accogliere, può permettere di reinterpretare l’enorme sviluppo della filosofia analitica, aiutando a superare quella divisione artificiale tra filosofi analitici e continentali creato su un equivoco, quello diffuso da George E. Moore nella sua Refutation of Idealism: un testo che ogni idealista e ogni costruttivista deve studiare, ma che dà all’idealismo due connotazioni controverse: quella di filosofia anti-realista, e quella di filosofia anti-naturalista.
Rileggere Croce oggi
È proprio in un approccio costruttivista, moderato, che il pensiero di Croce può essere recuperato (una proposta, in questo senso, viene da Tom Rockmore, che rilegge idealismo tedesco e neoidealismo italiano come costruttivismo). La sua ontologia, almeno nella prima maturità del suo pensiero sembra orientarsi – in linea del resto con l’idealismo – verso una forma di panpsichismo che ha una lunga e nobile storia, ma che oggi è difficilmente sostenibile. Lo spirito, è l’idea di oggi, non nasce insieme alla materia ma “emerge” da strutture materiali sufficientemente complesse. Un costruttivismo che non sia realismo – ridotto, almeno in Italia, al “realismo della ciabatta”, in chiave addirittura antiberlusconiana (a conferma della confusione tra piani diversi della vita dello “spirito”) – ma non sfoci neanche nel dominio postmoderno dell’interpretazione infinita sembra però poter leggere con profitto, oltre a Vico, anche Croce.