Italia, in un unico grafico tutto il malessere dell’economia

 

immaginetreL’economia italiana ha molti problemi, e si discute molto sulle possibili soluzioni. Tra queste, di tanto in tanto si affaccia il tema della limitata produttività, che non sembra però al centro delle attenzioni. Eppure, il cuore del malessere italiano potrebbe essere proprio qui. Il grafico – elaborato su dati omogenei Ocse – propone la produttività multifattoriale che riassume come capitale e lavoro vengono utilizzati insieme. Misura quindi la qualità della cultura manageriale, della gestione dei marchi, dell’organizzazione aziendale, della conoscenza, delle reti, l’effetto della concorrenza imperfetta e altri fattori qualitativi di questo tipo (oltre, inevitabilmente, agli errori di misurazione).immagineunoIl quadro che emerge è, per l’Italia, desolante. L’indice era nel 2015 al di sotto del livello del 1994: è salito fino al 2001, poi ha cominciato lentamente a calare. Nel dopo crisi, dal 2010, è rimasto sostanzialmente stabile. Altri paesi hanno fatto decisamente meglio. Nel periodo tra l’84 e il 2015, l’indice è salito almeno del 30% nelle maggiori economie e in un paese, gli Stati Uniti, ha continuato a crescere persino durante la crisi. Solo la Spagna mostra un andamento simile nelle grandi linee a quello italiano, anche se l’economia iberica dal ’98 in poi ha registrato una crescita zero, invece di una flessione, di questa misura di produttività.

L’analisi esplorativa permessa da questi dati illustra in modo semplice i risultati di uno studio del 2014 – ben più elaborato, ovviamente – sul malessere italiano:  Diagnosing the Italian Disease, di Bruno Pellegrino (University of California Los Angeles – Ucla) e Luigi Zingales (Harvard University, Nber e Cepr), secondo il quale il vero problema dell’Italia è il familismo e il cronyism, termine che viene tradotto normalmente con “clientelismo” che non va però interpretato, in questo caso, come qualcosa che riguardi solo il settore pubblico. Anche il settore privato soffre di grandi carenze nella selezione e nella promozione delle competenze, perché si tende a premiare – spiegano i due economisti – la lealtà rispetto alle capacità.

Può insospettire la coincidenza – non esatta, però – tra la data dell’inizio della flessione italiana (2001) e quella dell’introduzione dell’euro (quello fisico, almeno). Non è però una questione di cambio sfavorevole. L’andamento della bilancia commerciale italiana in termini reali mostra un costante aumento negli anni di adesione a Eurolandia, con la sola eccezione del periodo di crisi, e persino un’accelerazione subito dopo l’introduzione della moneta comune.

immaginedueE’ più probabile che abbia inciso l’ingresso della Cina nella Wto, l’organizzazione mondiale del commercio, a dicembre del 2001. Lo studio di Pellegrino e Zingales, più approfondito e rigoroso, permette di andare oltre: ha pesato – è la sua conclusione –  «l’incapacità delle piccole aziende di rispondere alla sfida posta dalla concorrenza cinese», e l’incapacità di tutte le imprese di cogliere appieno «i vantaggi della rivoluzione delle tecnologie (Ict)».

La coincidenza tra introduzione dell’euro e il calo dell’indice – insieme all’andamento della produttività spagnola – invita piuttosto a considerare l’ipotesi che i tassi d’interesse di Eurolandia, nelle due economie più bassi del “dovuto” – possano aver aiutato molte tra le aziende meno produttive a sopravvivere, impedendo così alle migliori di emergere. È un’ipotesi che, ovviamente, richiede analisi ben più rigorose per essere provata.

Immediate in ogni caso le conseguenze sul piano della politica economica. Non saranno gli sforzi di finanza pubblica a risolvere il problema. Nella migliore delle ipotesi – tutta da verificare – possono aiutare a mascherarlo. Qualche singolo intervento ben scelto può forse aiutare, ma non saranno le dimensioni delle spese o del deficit a cambiare le cose. Le riforme strutturali possono invece dare una mano, nel medio termine, se incidono per esempio sulla struttura dei mercati o creano gli incentivi giusti. Lo studio di Pellegrino e Zingales non dà però alcun sostegno all’idea che un’eccessiva protezione del mercato del lavoro – quasi l’unico elemento che è stato modificato dopo la pubblicazione della ricerca – possa spiegare il calo della produttività italiana. Bisognava, e bisogna, intervenire altrove.

I NUMERI (elaborazione su dati Ocse)

Francia Germania Italia Gran Bretagna Usa Spagna
1984 100 100 100 100 100 100
1985 102.6637 101.4073 101.2919 101.175475 101.1025 102.9474
1986 104.1527 102.2643 102.2985 103.2576744 102.4513 104.0596
1987 104.7157 102.8018 103.4927 106.4765537 102.6977 105.3301
1988 107.3652 104.7734 105.5798 106.5299624 103.5289 106.7534
1989 110.1732 107.4558 108.0567 106.1843568 103.9927 107.9697
1990 111.5999 110.5121 108.2504 105.7937757 104.7505 107.352
1991 111.9245 113.5138 107.6982 105.5131122 104.8462 107.3152
1992 113.0775 115.0932 108.1866 107.4976799 107.5554 108.7549
1993 113.1832 115.5752 108.9521 109.697349 107.698 109.731
1994 115.1087 117.8492 112.2893 111.3456526 108.5407 111.9754
1995 117.1522 119.2862 114.7721 111.723033 108.4387 112.405
1996 117.3276 120.4688 114.4086 112.6680278 110.2907 113.0433
1997 118.997 122.5856 115.6104 114.8294456 111.3178 112.6843
1998 121.2887 123.3891 115.0174 115.7203258 112.8184 111.9448
1999 122.5652 124.2532 115.0053 117.6930587 114.8282 111.2874
2000 125.8537 126.3603 117.3152 120.650517 116.7101 111.5895
2001 126.2106 128.386 117.1771 122.201623 117.6805 111.2847
2002 128.6282 128.7912 115.4351 124.4904105 119.7613 110.8566
2003 129.0142 128.7368 113.9819 127.6790967 122.3822 110.5987
2004 129.7407 129.6016 114.4943 129.9457747 124.8617 110.2457
2005 130.6984 130.7323 114.5068 130.8090071 126.5996 110.0922
2006 133.3826 133.1224 114.3321 132.6266362 126.9829 110.1315
2007 132.957 134.941 113.9014 134.0987388 127.3564 110.5004
2008 131.2606 134.7484 112.3901 132.9596371 127.0927 109.6304
2009 129.1177 129.8529 108.5257 128.6796265 128.3881 109.4981
2010 130.6152 133.1995 110.4447 130.9761113 131.3012 110.2884
2011 131.7931 135.971 110.7536 131.0411972 131.4559 110.1813
2012 131.4503 136.4272 109.5033 130.1415575 131.7645 110.0089
2013 132.5198 137.1328 109.6976 130.2310129 131.8967 109.8519
2014 132.9331 137.7757 109.9848 130.7516869 132.249 109.9266
2015 133.2793 138.8173 110.2389 132.2775329 133.0576