Un «indice della miseria» per misurare i rischi di rivolte

L’aumento dei prezzi del cibo e la disoccupazione sono le cose che oggi preoccupano diMisery  più i popoli. Ci sono entrambi i fenomeni dietro le rivolte di queste settimane, che anche in passato fecero scattare centinaia di altri episodi, persino le manifestazioni di Piazza Tienanmen che, come molte altre, si sono poi tramutate in una richiesta di maggiore democrazia e libertà. È per valutare la possibilità di altre rivolte che Glenn Maguire e Michala Marcussen di Société Générale – in una nota intitolata Les Misérables, per rievocare il romanzo di Victor Hugo e le agitazioni del 1832 – hanno rielaborato un Indice della miseria, calcolato come somma di disoccupazione e inflazione. I risultati sono interessanti, anche per la presenza di paesi europei “periferici” ai primi posti della lista, nei quali però, ricordano i due analisti, ha un ruolo importante il cuscinetto offerto dalle reti di sicurezza sociale, assenti o sono molto imperfette altrove.

Maguire e Marcussen non si lanciano in vere e proprie previsioni di rivolte, impossibili. Trovano però che «l’indice di miseria offra una semplice valutazione del rischio di agitazioni sociali. Sottolinea inoltre come simili tumulti potrebbero non essere limitati a paesi poveri ed emergenti, dal momento che l’alta disoccupazione implicita nelle politiche di risanamento fiscale aumenterà la “miseria” nelle economie ricche e sviluppate».