Evitare i conflitti di interesse, la lezione della Banca dell’alba

La provincia dello Shanxi, in Cina, è una remota regione vicino la Mongolia, molto lontana dal mare e i suoi porti. Nel XIX secolo, nonostante tutto, fu un importante centro finanziario e le sue banche adottarono una forma unica di corporate governance, utile – secondo uno studio, The Shanxi banks, scritto da Randall Morck e Fan Yang del National bureau of economic research – per evitare conflitti o divergenze di interessi tra azionisti e manager.

Nella Cina dell’800 era vergognoso rivolgersi ai tribunali e i giudici provenivano dalla classe dei proprietari terrieri. Per i banchieri fu quindi molto importante creare “un loro sistema per far rispettare i contratti”. Alla Rishengchang, la Banca di previdenza dell’alba, adottarono allora un sistema molto particolare di corporate governance.

Emisero due tipi di azioni, che pagavano lo stesso dividendo.

Le ‘azioni di capitale’ erano per gli azionisti, e il loro prezzo era “uguale alle attività della banca divise per il numero delle azioni”. I soci avevano responsabilità illimitata; potevano partecipare al giorno della grande valutazione, l’assemblea degli azionisti, alla fine di ogni ciclo fiscale, che durava tre o quattro anni. Potevano decidere solo “sull’assunzione, il licenziamento e il compenso dei manager” e non potevano influenzare le scelte aziendali quotidiani.

Le ‘azioni di competenza’, senza diritto di voto erano invece assegnate a manager professionisti o impiegati (gli insiders), che ricevevano anche uno stipendio. Se non assegnate queste azioni continuavano a pagare dividendi a un fondo che faceva parte delle attività della banca.

Quando un insider andava in pensione o moriva, riceveva ‘azioni morte’, senza diritti di voto, “che continuavano a pagare dividendi a lui o al suo erede designato per un periodo definito nel suo contratto di assunzione”. Questo incentivava i managers ad avere una visione di lungo periodo. Un’altra regola completava lo schema: le mogli e i bambini degli impiegati potevano essere presi come ostaggio dagli azionisti che quindi, conservavano troppi poteri (anche se evitavano truffe). Anche per questo il sistema crollò.

Questo meccanismo di corporate governance è molto diverso da quello occidentale. “Nelle aziende moderne – notano Morck e Yang – i sistemi che prevedono due tipi azioni generalmente danno agli insiders accresciuti diritti di voto e limitati diritti al cash flow, peggiorando le divergenze di interessi e, contemporaneamente, i problemi di radicamento, di entrenchment, dei managers nell’azienda”. I dirigenti, se hanno sufficienti diritti di voto, non possono cioè essere più cacciati dall’azienda anche se non sono più efficienti. “Anche le banche dello Shanxi avevano due tipi di azioni, ma con una configurazione esattamente opposta. Gli insiders possedevano grandi quote azionarie, senza diritti di voto: massimizzando i loro diritti al cash flow evitavano i problemi di divergenza di interessi mentre l’assenza di diritti di voto impediva il loro radicamento nell’azienda”. Quindi “gli incentivi per i manager erano allineanti con la massimizzazione della ricchezza dei proprietari, e dal momento che gli azionisti non potevano influenzare la concessione di prestiti, le loro obbligazioni societarie non potevano distorcere il credito”.

È per questo che possiamo trarre una lezione dalla storia dello Shanxi. “I moderni legislatori e le aziende – scrivono Morck e Yang – potrebbero valutare l’approccio delle banche dello Shanxi: le imprese potrebbero pagare i manager con azioni di competenza, senza diritto di voto alle assemblee, gli azionisti di controllo potrebbero aumentare la loro ricchezza adottando emendamenti agli statuti societari che impediscano loro di influenzare le decisioni aziendali, e permettano loro solo di assumere e licenziare alti dirigenti e fissare formule per determinarne i compensi”.