Troppo grandi per fallire? Troppo grandi per esistere

Ci sono banche “troppo grandi per esistere”? Secondo la Banca dei regolamenti internazionali di Basilea, la risposta è: sì. Nel suo rapporto annuale 2009, la Bri ha spiegato seccamente che “in futuro, una società finanziaria che è troppo grande o troppo interconnessa per fallire deve essere anche troppo grande per esistere.

Alcuni banchieri potrebbero rispondere che se un gruppo finanziario è grande, o anche gigantesco, ci deve essere una ragione: per esempio le economie di scala (quelle legate alle dimensioni), o le economie di scopo (quelle dovute all'ampiezza della gamma dei prodotti, al marketing e alla distribuzione). Ci sono però molti dubbi, e gli economisti lo sanno. L’ex presidente della Fed Alan Greenspan lo ha confermato: in un studio su “La crisi”, preparato per una conferenza alla Brooking Institution del 19 marzo 2010, ha scritto che per anni “le ricerche alla Federal Reserve sono state incapaci di trovare economie di scala, nel settore bancario al di là degli istituti di dimensioni modeste”.

Uno studio scritto nel 1994 da Allen B. Berger, che siedeva allora nel board dei governatori della Fed, e da David B Humphreys, ha infatti osservato che “le economia di scala e di scopo nel settore bancario si rivelano non importanti, tranne che per le banche più piccole; questo significa “che banche più grandi non hanno costi medi minori di banche di medie dimensioni” e “che c’è un potenziale limitato di economie di scopo o di mix di prodotti quando le aziende di credito si fondono”. I due economisti hanno anche trovato che “le fusioni non hanno nessun significativo effetto prevedibile sull’efficienza – alcune l’aumentano, altre l’abbassano” e che “la concentrazione porta a prezzi un po’ meno favorevoli per i consumatori, ma hanno poco effetto sulla redditività”.

Cinque anni dopo, nel 1999, in un discorso all’American Bankers Association di Phoenix in Arizona, Greenspan riconobbe anche che “le megabanche che si formano per crescita e per consolidamento sono istituti sempre più complessi che creano potenziali e inusualmente elevati rischi sistemici per l’economia nazionale e internazionale, nel caso in cui debbano fallire. In quell’occasione Greenspan aveva immaginato solo una migliore regolamentazione e una migliore vigilanza. “Purtroppo abbiamo fatto poco per affrontare il problema”, ha poi scritto nel suo studio del 2010 sulla crisi. Ma molto tempo fa, negli anni 30 del secolo scorso, un vero liberista come Henry Simons sapeva molto bene che i megagruppi sono dannosi per l’economia, ma anche per la libertà e la democrazia.