E' stata la prima, in Europa. ora però è costretta a procedere più lentamente. Ha commesso un errore?
La Norvegia ha deciso di alzare i tassi già a novembre, (all’1,50%) promettendo di continuare la stretta. È poi intervenuta di nuovo a dicembre, un po’ in anticipo sulle attese, per contrastare il rialzo dei prezzi delle case. A marzo ha però rivisto le sue decisioni: saremo più lenti, ha spiegato la Banca centrale, che mercoledì ha portato i tassi al 2 per cento.
Alla vigilia di ogni riunione gli investitori sono rimasti molto incerti su cosa sarebbe accaduto. Molti hanno avuto l’impressione che la Norges Bank abbia agito un po’ in fretta: la produzione industriale lancia ancora segni di sofferenza, e solo le pressioni dal credito alle famiglie e dell’immobiliare sostenevano la scelta di "stringere".
L’errore di politica monetaria – in questa fase – è sempre in agguato. L’economia norvegese, però, è molto particolare e crea un difficile dilemma per la sua banca centrale. Il paese sembra diviso in due parti. «I tassi ultrabassi – spiega Tina Mortensen di Citigroup – stanno alimentando la domanda domestica ma un orientamento più restrittivo danneggerebbe l’export, già in difficoltà, con l’apprezzamento della corona».
Questa è una situazione che si presenta spesso nei paesi con importanti risorse minerarie (nel caso di Oslo il petrolio): è la Dutch Disease, la malattia che colpì l’Olanda negli anni 60 quando i ricchi giacimenti di gas, fecero apprezzare salari e valuta e resero poco competitivi gli altri settori industriali aperti al commercio estero.
Oslo non è immune dal malessere, anche se ha cercato di ridurne gli effetti: gran parte delle royalties generate dai giacimenti sono inviate a un fondo sovrano che cede solo una quota annuale dei suoi rendimenti al bilancio statale. Spese pubbliche inflazionistiche non sono impossibili, ma sono disincentivate, mentre lo spiazzamento degli altri settori industriali sembra limitato: anche dopo la crisi la disoccupazione è a un invidiabile 3,4%.
La cura non è però risolutiva, secondo Mortensen. La Norvegia «è un paese malato», dice, nel senso quasi letterale del termine: l’11% della popolazione tra i 20 e i 64 anni riceve sussidi di invalidità o di malattia, percentuale che sale al 20% aggiungendo i prepensionati. Il tasso è inferiore solo a quello di Ungheria e Svezia (in Italia è invece poco inferiore al 4%).
La Norvegia non si accorge molto di quello che accade. I sussidi sono costosi «ma con i notevoli redditi dal petrolio, il paese dovrebbe poter finanziare la sua popolazione ’malata’ per molti decenni senza danneggiare la sostenibilità fiscale», aggiunge Mortensen. Scenari molto più preoccupanti si aprono per esempio di fronte a Ungheria e Svezia.
Questo malessere norvegese, in realtà, non è altro che una diversa manifestazione della "malattia olandese" sul mercato del lavoro nel settore industriale. Tiene elevata la domanda – soprattutto di case – anche quando la produzione e in difficoltà; e in questa fase alimenta i dilemmi della politica monetaria.
Ecco perché la Norges Bank, il 5 maggio, ha preso seriamente in considerazione l’ipotesi di mantenere i tassi ancora fermi: le difficoltà della Grecia potrebbero ora frenare il traino di Eurolandia, dove si dirige il 40% delle sue esportazioni, e il settore industriale potrebbe soffrire ancora di più. Per ora la Banca centrale – che dà indicazioni anche sui suoi movimenti futuri – ha confermato che i tassi a dicembre saranno compresi tra il 2,25 e il 2,50% con ulteriori lenti rialzi. «Un messaggio – aggiunge Nicola Mai di JPMorgan – ampiamente coerente con la nostra idea, che vede i tassi al 2,50% a fine anno». Le difficoltà strutturali della Norvegia rendono però lo scenario molto a rischio.