Sono in molte, ormai. Almeno 14, delle 32 maggiori banche centrali, hanno già alzato i tassi. La liquidità, però, continua a fluire abbondante, in eccesso rispetto ai bisogni dell’economia, e tocca nuovi record.
L’analisi è di Joachim Fels della Morgan Stanley che da molto tempo – da prima della crisi – segue l’andamento della massa monetaria nel mondo e le tensioni che scarica sulle quotazioni finanziarie e poi, con qualche ritardo, sui prezzi al consumo.
La ricerca lancia quindi un altro allarme. Anche se tante banche centrali hanno già invertito la rotta, il tasso d’interesse globale – ponderato sul Pil – è però passato dal 2,4% del primo trimestre 2010 al solo 2,5% del secondo: è il primo, minimo, rialzo da mesi ed è forse uno dei primissimi segnali di un’inversione di tendenza complessiva ma risente ancora, evidentemente, delle politiche ultraespansive dei quattro grandi, Stati Uniti, Eurolandia, Giappone e Cina (che, anche se ha irrigidito le condizioni monetarie attraverso più strumenti, non ha alzato i tassi ufficiali).
Lo scenario cambia poi completamente se si passa ai tassi reali: quello globale, con un’inflazione mondiale ormai al 3%, è negativo ed è pari al -0,6 per cento. A differenza di quello nominale, è calato ancora, perché le pressioni sui prezzi, in tutto il mondo, stanno aumentando: «C’è – spiega quindi Fels – un gap molto ampio tra il ritmo di crescita del Pil globale, pari alla fine del secondo trimestre al 4,8% rispetto a un anno prima, e il tasso di interesse reale a breve termine e questo segnala un orientamento di politica monetaria estremamente espansivo».
A tassi così bassi corrisponde una liquidità molto ampia, cresciuta a dismisura rispetto alle necessità dell’economia. È possibile misurarla confrontando la massa monetaria M1 – liquidi e conti correnti, ossia i soldi nella immediata disponibilità di consumatori, risparmiatori e aziende – e il Pil nominale. In questo modo «è possibile individuare la liquidità in eccesso che è disponibile per far ribollire i prezzi delle attività finanziarie e immobiliari», scrive Fels. Quella misura è ai massimi, la liquidità è stata più veloce della produzione nominale e questa sproporzione potrà creare problemi.
Non subito, forse: il rischio piuttosto è che lo faccia improvvisamente. Nel suo ultimo rapporto, la Banca dei regolamenti internazionali (Bri) – pur concentrandosi soprattutto sui problemi fiscali – ha di nuovo lanciato l’allarme sui possibili effetti dell’enorme liquidità in circolazione, che fu – prima del 2007 – uno dei carburanti principali della crisi. «Mantenere i tassi di interesse su livelli così contenuti – ha scritto nel suo ultimo rapporto – comporta un prezzo, che è destinato a salire con il passare del tempo. L’esperienza insegna che periodi prolungati di tassi di interesse insolitamente bassi offuscano la valutazione dei rischi finanziari, inducono la ricerca di rendimenti più elevati e ritardano la correzione dei bilanci». A livello internazionale, il fatto che i paesi emergenti offrano rendimenti più alti di quelli avanzati alimenta il flusso di capitali dalle economie ricche, dove la liquidità nasce, verso quelle in via di sviluppo, con il pericolo di creare squilibri improvvisi: la situazione «espone – aggiungono gli economisti della Bri – i paesi destinatari al rischio di repentini e ingenti deflussi di capitali e a un’inversione delle pressioni sul cambio qualora dovessero mutare le condizioni macroeconomiche, monetarie e finanziarie internazionali o la percezione degli investitori al riguardo».
Anche il Fondo monetario internazionale (Fmi) – che parla del resto di un unico ciclo della liquidità, che è iniziato nel 2003 e ha accelerato nel 2007 – ha sottolineato come la massa monetaria sia creata dai paesi avanzati, producendo però i suoi effetti dappertutto. I paesi emergenti, in particolare, non riescono nell’attuale sistema a "isolarsi" dal ciclo. L’ultimo rapporto dell’Fmi ha individuato «forti legami tra l’espansione di liquidità globale e le quotazioni degli assets (…) nelle economie riceventi, così come con l’accumulazione di riserve ufficiali e i flussi di portafoglio verso l’azionario».
Tassi bassi e cambi fissi nascondono un po’ gli effetti perversi della liquidità che possono manifestarsi senza preavviso. «I banchieri centrali e gli investitori potrebbero essere destinati a un brusco risveglio una volta che sarà diventato chiaro che la politica monetaria è rimasta troppo espansionistica troppo a lungo», conclude allora Fels. In quel caso dovranno scegliere tra l’inflazione e tassi più alti che pesino sui debiti. Non sarà una scelta facile.