Cosa accade sul valutario? Poco più di due mesi fa, il dollaro sembrava fortissimo e l’euro scivolava fino a quota 1,18; ora, quasi bruscamente la valuta Usa è tornata a perdere terreno, la moneta comune ha recuperato fino oltre 1,33, e lo yen sta volando e ha toccato quota 85.
Non è una novità che il mercato delle valute, sul quale, secondo la Hsbc, si scambiano oggi 4mila miliardi di dollari al giorno, si muova in modo relativamente sganciato dai fondamentali. Ora è guidato da una convenzione – tassi d’interesse e rendimenti, per esempio – ora da un’altra – in genere i deficit con l’estero e i corrispondenti flussi finanziari. Gli stessi operatori a volte sono attenti ai fondamentali, a volte ai grafici, muovendosi con logiche diverse. In quest’ultima fase, in cui le aspettative sono cambiate rapidamente – si pensi a come era percepita la crisi di Eurolandia ad aprile o a maggio – il fenomeno si è esacerbato. «Il mercato crede che il futuro sia o sereno o cattivo. In questo mondo semplice e binario il mercato oscilla tra l’ottimismo o il pessimismo quasi ogni giorno», spiega David Bloom e il suo team in una ricerca della Hsbc che cerca di esaminare questo nuovo paradigma del "rischio on, rischio off", molto più riduttivo di quello precedente perché «dominato da una singola forza». I mercati – non solo quello dei cambi – si muovono quindi quasi "in blocco" con una grande correlazione tra loro.
Cosa sia successo nell’ultimo mese sembra allora più facile da capire. I timori sulla tenuta dell’euro si sono ridimensionati, dopo un’iniziale sopravvalutazione; quelli sulla ripresa degli Usa sono aumentati. Il risultato finale non sembra nuovo: una debolezza del dollaro in una fase di rendimenti obbligazionari in calo (ora ci si aspetta che la Fed esca dall’emergenza più tardi), e di ritorni da azioni e materie prime in rialzo è comune, notano Paul Robinson e Raghav Subarrao di Barclays Capital; e in genere questi periodi sono seguiti da una serie di rimbalzi verso l’alto per il dollaro, e verso il basso per le commodities.
In realtà l’anomalia c’è: lo yen. In queste fasi non si apprezza così tanto; è più facile che si comporti così quando calano le materie prime. È successo allora qualcosa di nuovo, nel panorama delle valute. Il cambio effettivo del dollaro – nota Ashraf Laidi di CmcMarkets – è sceso sotto la sua media mobile a 200 giorni mentre le altre principali monete, ma non la valuta comune, hanno superato la stessa soglia nei giorni scorsi. «È la prima volta nella sua vita – nota Laidi – che l’euro non risponde a questi cambiamenti nell’indice del dollaro».
La soglia fissata dalla media mobile non ha alcun particolare valore – se non per i graficisti – ma la novità va segnalata, perché l’euro "pesa" per il 57% sul cambio effettivo Usa. «Si può concludere – spiega quindi Laidi – che il grosso delle perdite del dollaro sono state realizzate contro le altre valute dell’indice».
Il mercato è quindi di fronte a una debolezza del dollaro, non a un rimbalzo dell’euro; e anche la riconsiderazione dei rischi presentati da Eurolandia non va evidentemente sovrastimata: in passato, il rialzo sarebbe stato più incisivo. Soprattutto in presenza degli ultimi positivi dati economici e finanziari dell’Unione monetaria.
Senza la "valvola" dell’euro, il deprezzamento della valuta Usa si è scaricato quindi sullo yen, ormai a un passo – come a dicembre – dai minimi dal ’95. È probabile però che su questi livelli possa intervenire il ministero delle Finanze di Tokyo, per deprezzare il cambio, decisamente troppo alto. A questo punto, si aprirà probabilmente uno scenario nuovo; ma avranno gli investitori davvero il coraggio di tornare a investire come un tempo sull’euro?