Gli scioperi bloccano il Sud Africa

Sciopero! I lavoratori del Sudafrica sono scesi in piazza. Gli impiegati statali, 1,3 milioni di persone, si astengono dal lavoro da giovedì – quando la polizia ha sparato proiettili di gomma sui manifestanti – e la protesta potrebbe continuare la prossima settimana.

I sindacati chiedono un aumento dei salari dell’8,6%, che gonfierebbe le spese pubbliche di 1-2 punti di Pil proprio mentre il governo tenta di ridurre il deficit, oggi al 6,7 per cento. Per ora la trattativa è ferma. I direttori degli ospedali hanno attribuito alle proteste dei medici la morte di sei malati gravi, tra i quali due bambini. I sindacati hanno perso così il sostegno dell’opinione pubblica, e un tribunale – con una decisione molto contestata e in parte elusa dai lavoratori – ha vietato ai dipendenti dei settori critici di astendersi dal lavoro; ma i dipendenti comunali hanno subito minacciato uno sciopero di solidarietà.

Nel settore privato va appena meglio. Il 30 agosto si fermeranno 70mila metalmeccanici: chiedono aumenti del 15% e hanno ricevuto un’offerta del 6,6 per cento. Più fortunati i colleghi del settore auto – in Sudafrica sono presenti Toyota, Ford, Volkswagen, General Motors, Nissan, Bmw e Daimler – che, dopo otto giorni di sciopero e una produzione perduta di 17mila vetture, hanno ottenuto aumenti del 10% quest’anno e del 9% nei prossimi due. Ai minatori della Impala platinum, che hanno raggiunto ieri un accordo, toccherà intanto il 7,5-8 per cento, mentre i colleghi della Exxaro e della Rio Tinto sono in agitazione.

Il governo resta comunque ermo sulle proprie posizioni. Dopo aver previsto in bilancio un aumento del 5,2% e 700 rand al mese per la casa si è spinto a offrire il 7%; ma i sindacati chiedono un 8,6% più mille rand. Il ministro delle Finanze Pravin Gordhan, dopo aver cercato di tranquillizzare gli investitori, preoccupati per una prosecuzione delle proteste, iniziate a maggio, fino a settembre, ha scelto di cogliere l’occasione per un intervento verbale per fermare il cambio del rand, salito fino ai massimi da due anni e mezzo sul dollaro, considerato il principale ostacolo alla crescita e alla creazione di posti di lavoro.

Spostare l’attenzione dagli scioperi al mercato delle valute sembra un tipico "trucco politico". C’è però un elemento comune che preoccupa: l’inflazione, che in un paese come il Sudafrica, con una disoccupazione del 25%, è davvero una dolorosissima tassa sui poveri, soprattutto in un momento in cui i prezzi degli alimentari tendono a salire. Le richieste salariali sembrano al governo elevate, ora che l’inflazione è calata – sia pure dopo aver toccato il 13,7% due anni fa – al 4,2%; solo i Mondiali sono infatti riusciti a tener vivace l’attività economica, che ora sembra dover rallentare, riducendo la produttività. E' da aprile 2009 che il paese è bloccato da continui scioperi, grazie ai quali gli stipendi sono saliti abbastanza rapidamente: gli stessi impiegati pubblici hanno avuto incrementi compresi tra l'11 e il 15 per cento. 

I flussi di capitale dall’estero, complice la domanda di materie prime, si mantengono invece forti. Il rand – in termini reali effettivi – è salito, secondo James Lord di Morgan Stanley, del 40% da fine 2008 e questo rende sempre meno competitivo l’export.

Deprezzare la valuta comporta però, per un’economia relativamente aperta come il Sudafrica, un ulteriore rischio di inflazione, che potrebbe materializzarsi persino nel tentativo di mantener fermo il rand: interventi da parte della banca centrale comportano un costo («insostenibile», secondo Lord) per riassorbire i rand emessi per acquistare dollari ed euro. Ne resterebbero comunque troppi in circolazione, con il rischio di gonfiare i prezzi.

È un dilemma arduo, che il governo potrebbe voler affrontare con una qualche fermezza nelle trattative e, a settembre, con controlli sui capitali sotto forma di tasse sulle operazioni a breve termine. Non sarà facile.