C’è un indicatore che le banche centrali osservano più di ogni altra cosa. Anche quando la crescita economica o l’occupazione compaiono formalmente tra i loro obiettivi, come accade per la Federal reserve. Sono le aspettative di inflazione, più importanti della stessa dinamica attuale dei prezzi. Sono misurate in molti modi: uno di questi – non l’unico né in realtà il più importante – è dato dai sondaggi tra i consumatori. L’ultimo, relativo agli Stati Uniti e realizzato dell’Università del Michigan, ha rivelato in ogni caso un forte balzo a inizio marzo sia per le attese sui prezzi a un anno (al 4,3% dal 3,4% di febbraio) che quelle a cinque anni, più al riparo dal caro petrolio (al 3,2% dal 2,9%): sono entrambe ai massimi da agosto 2008, quando il rischio inflazione era molto sentito.
«Un rialzo di queste misure non era una sorpresa, tenuto conto dell’aumento dei prezzi della benzina, ma la magnitudine dell’incremento ha colpito un po’», ha spiegato Daniel Silver di JPMorgan. Per la Fed, che fa riferimento però anche ad altri strumenti di valutazione delle aspettative, si può quindi prospettare un dilemma non piccolo, perché l’aumento del costo della vita oltre a creare nuove pressioni sull’inflazione potrebbe pesare sulle spese delle famiglie. «Pensiamo che i consumi reali dovranno essere esaminati con attenzione, per un po’ di mesi», ha aggiunto Nicholas Tenev di Barclays. Sarà interessante, dopo la riunione Fed di martedì 15 marzo, capire se e fino a che punto lo scenario “ufficiale” sull’inflazione sarà cambiato.