Nigeria, il governatore accusa il presidente lo rimuove

Venti miliardi di dollari. Sono queste le dimensioni dello scandalo finanziario che sta scuotendo il governo della Nigeria e che ha portato alla sospensione – considerata illegale da alcuni parlamentari – del principale accusatore del presidente Goodluck Jonathan, il governatore della Banca centrale Lamido Sanusi. La somma è costituita da ricavi della compagnia petrolifera nazionale Nigerian National Petroleum Corporation (Nnpc) che non sarebbero stati rimpatriati e consegnati al governo.

L’accusatore accusato

Sanusi non è il primo accusatore della Nnpc a essere stato a sua volta accusato. È toccato anche a Farouk Lawan, presidente di una commissione d’inchiesta parlamentare su sussidi illegali per 6,6 miliardi di dollari, indagato per aver preso una tangente; Nuhu Rubadu, responsabile dell’agenzia anti-corruzione, la Economic and Financial Crimes Commission, rimosso dopo aver accusato l’ex governatore dello stato di Bayelsa Diepreye Alamieyeseigha, reo confesso e poi graziato da Jonathan.

Le reazioni dei mercati

La sospensione del governatore, che molto aveva fatto per costruire una solida reputazione della Nigeria, ha però scosso i mercati finanziari: il cambio, Nairache soffre di un crescente disallineamento tra mercato ufficiale e mercato "nero" (si veda il grafico della Bank of America Merrill Lynch), si è rapidamente deprezzato, fino a toccare un minimo storico sul dollaro che ha poi spinto la banca centrale a intervenire. Il ministro delle Finanze Ngozi Okonjo-Iweala, noto economista candidato più volte alla guida della Banca mondiale, ha cercato di rassicurare gli investitori sulla tenuta della politica monetaria e fiscale. Il presidente ha nominato come governatore a interim il vice Sarah Alade, e si è precipitato a nominare come successore di Sanusi, il cui mandato sarebbe scaduto a luglio, Godwin Emefiele, amministratore delegato della Zenith Bank. Sul Naira, la moneta nazionale, secondo Ridle Markus di Barclays e il suo team in Sud Africa, potrebbero però comunque accumularsi pressioni: le riserve valutarie, fortemente dipendenti dal prezzo del petrolio, sono inoltre in calo daquasi un anno e la prospettiva di un aumento della produzione di greggio in Libia e in Iran non aiuta.