È un fatto noto: Il socialismo non ha mai davvero attecchito negli Stati Uniti. “Socialista” è anzi considerato un insulto, un’accusa infamante, se lanciata a un politico. La sinistra democratica – per quanto vicina ai socialdemocratici europei – si definisce ‘liberal’, e si ispira al liberalismo sociale: quello di John Dewey, per esempio, e poi quello di John Rawls. L’assenza di un movimento autenticamente socialista è stato anche oggetto di studi accademici: “Perché non c’è un socialismo negli Stati Uniti” è un famoso saggio di Werner Sombart, scritto nell’ormai lontano 1906.
Il successo inatteso di Sanders
Molti immigrati europei hanno tentato di introdurre socialismo, marxismo e comunismo negli Stati Uniti, ma senza grande successo. Solo gli anarchici hanno avuto un certo seguito – dai proudhoniani, ora numi tutelari degli anarcocapitalisti a Emma Goodman, fino a Murray Bookchin – ma si è sempre trattato di movimenti di nicchia. Ha quindi un po’ sorpreso l’emergere sulla scena politica di Bernie Sanders, che si dichiara esplicitamente socialdemocratico e ha sposato le idee della Modern Monetary Theory, con la sua illusoria proposta di un’infinita spesa pubblica, senza vincoli.
Un desiderio di socialismo?
Si è detto, forse non a torto, che l’accusa di ‘socialista’ lanciata agli avversari politici abbia infine reso familiare agli americani il socialismo. A maggio 2019 un sondaggio Gallup – non confermato però da altre rilevazioni simili – indicava che il 43% degli americani ritiene utile una politica di ispirazione socialista per gli Stati Uniti, percentuale che saliva oltre il 50%, tra le persone con meno di 40 anni, in un sondaggio di marzo della Harris.
Un passo indietro: 1880
Una novità? Non del tutto. Il socialismo, una particolarissima forma di socialismo, fu in realtà molto diffusa negli Stati Uniti, alla fine dell’800. Il suo proponente, Henry George – da cui il nome di Georgismo alla sua corrente – pubblicò nel 1879 Progress and Poverty che negli anni 90 del XIX secolo fu un grande successo editoriale, secondo solo alla Bibbia, sia negli Stati Uniti che nel mondo, vendendo diversi milioni di copie.
Ricchissimi e poverissimi
George partì da una considerazione semplice: la presenza, a New York, di ricchissimi e poverissimi. Nelle aride e allora poco sviluppate campagne della California non aveva mai incontrato un tale livello di povertà. Come era possibile che la ricchezza di quella città non si riversasse un po’ su tutti? La sua risposta, basata sull’economia politica di David Ricardo, era semplice: la ricchezza generata sul mercato era “catturata” dalle rendite, che sono quindi la fonte delle diseguaglianze.
Il problema dei rentiers
I rentiers, che si appropriavano di una quota importante della ricchezza, erano soprattutto – a quei tempi – i proprietari terrieri, ma anche coloro che vantavano diritti sulle miniere e le risorse naturali, i monopolisti in genere, i monopsonisti (che dominano, in genere localmente, il mercato del lavoro), coloro che, attraverso i brevetti, godevano di una proprietà intellettuale ‘creata’ artificialmente dalle leggi (“cedere” conoscenza non significa privarsene, come avviene per altri beni).
Libero mercato e patrimoniale
La sua soluzione per ripristinare l’eguaglianza economica era allora semplice: libero mercato, per creare grande ricchezza, insieme a una forte tassazione sulle rendite, una specie di patrimoniale, come unica imposta (con l’abolizione, quindi, di tutte le altre, soprattutto di quelle sul lavoro) per ricostituire l’equilibrio economico e sociale. Era una di quelle forme di socialismo libertario e di mercato messe in ombra dal diffondersi del socialismo autoritario di matrice marxista. In ogni caso una proposta molto diversa da quella avanzata da Sanders. Non esisteva, ai tempi, un welfare state così ampio come quello attuale, e la lotta a tasse e monopoli era sentita nelle classi popolari (e tra i socialisti, soprattutto non marxisti). George – un autodidatta – proponeva quindi una risposta semplice, e molto adatta al mondo anglosassone, a un tema già molto sentito. Il suo successo fu ampio, e si diffuse in tutto il mondo.
Da Tolstoj a Stiglitz
Moltissimi intellettuali furono attratti dalle sue idee: tra questi Lev Tolstoj, George Bernard Shaw, Alexandr Kerensky, forse anche Winston Churchill. Sicuramente Léon Walras, l’economista – socialista anch’egli – che per primo dimostrò (quasi: per una soluzione rigorosa bisognò aspettare il 1954, con Kenneth Arrow, Gérard Debreu e Lionel McKenzie l’esistenza della mano invisibile sui mercati, e ne definì le condizioni, ma che era favorevole alla nazionalizzazione delle terre. Il Teorema di Henry George, formulato da Joseph Stiglitz, mostra che un’imposta georgista, sotto alcune condizioni, è efficiente ed è sufficiente a finanziare le spese pubbliche (in un contesto statico – diverso da quello dinamico proposto da George – le rendite equivalgono alle spese pubbliche). Importante fu il suo influsso sul socialismo americano (per esempio sul Socialist Laboer Party di Daniel De Leon – che poi divenne marxista – e sull’United Labor Party, per il quale George fu quasi eletto sindaco di New York) e su quello britannico e irlandese. “Terra e libertà” è anche uno slogan (e una rivista) georgista.
La morte di George…
George morì nel 1897, a 58 anni, mentre cercava di tener conto della rivoluzione marginalista, che aveva un po’ appannato l’approccio di Ricardo (ma Alfred Marshall, ancora nel 1920, vedeva una continuità tra il lavoro dell’economista britannico, poi caduto in disgrazia perché adottato e stravolto dai marxisti, e il nuovo paradigma sviluppato da Walras, Menger e Jevons). La sua camera ardente fu visitata da almeno 100mila persone.
…e la sua eredità
Le sue idee continuarono però a farsi strada, e ci furono molte applicazioni ‘locali’. Woodrow Wilson, il presidente che portò gli Usa nella prima guerra mondiale, era sensibile alle proposte di George, e georgisti dichiarati erano almeno quattro suoi ministri. Gli attuali sostenitori di questo approccio – molto pochi – indicano in Hong Kong, Singapore, Taiwan e Corea del Sud gli esempi di maggior successo delle loro proposte. A Hong Kong, però, la property tax, pari al 15% del valore della terra raccoglie oggi una percentuale davvero microscopica – nell’ordine dello 0,01% – delle entrate pubbliche.
L’antenato del Monopoli
Il successo fu sostenuto anche dalla creazione di un gioco da tavolo. Per diffondere i principi del georgismo, Elizabeth Magie – una game designer – brevettò The Landlord’s Game, nel quale si affrontavano monopolisti e non monopolisti. Ebbe un enorme successo – anche tra le comunità quacchere che ne aiutarono la diffusione – e fu usato anche in alcune università per insegnare i principi di questa peculiare versione del socialismo. L’idea era quella di insegnare a riconoscere un trattamento ingiusto, iniquo, da parte del sistema economico.
Dal gioco socialista a quello capitalista
Nel 1935 un secondo brevetto fu ceduto alla Parker Brothers – che in passato lo aveva rifiutato perché ritenuto troppo difficile – ma l’azienda di giochi ne pubblicò pochi esemplari, oggi rarissimi, e preferì dedicarsi al Monopoly, che Charles Darrow rivendicava come una sua creazione, ma che in realtà era l’imitazione della prima parte del Landlord’s Game, preferita dai quaccheri. Primo ormai di ogni contenuto socialista, il Monopoly divenne allora il gioco del capitalismo americano e le sue origini socialiste furono accuratamente nascoste dalla Parker Brothers.