Non sembra – come si è visto in un precedente post – che il Jobs act, al di là dei grandi proclami, abbia davvero fatto la differenza per l’intero mercato del lavoro. Si può dire la stessa cosa per i giovani, la componente più debole, in Italia? La riforma del lavoro, in questo caso, è stata accompagnata da una serie di incentivi per le aziende (sgravi contributivi, soprattutto) che avevano la funzione di amplificare gli effetti del Jobs act.
Qualcosa, effettivamente, sembra essersi mosso, anche se è presto per una diagnosi conclusiva. Non si può ancora parlare, tecnicamente, di rotture strutturali nella serie temporale di dati (se non nel ’96), ma gli interventi del governo potrebbero aver cambiato qualcosa.
Nel lungo periodo precedente il 2015, il numero degli occupati tra 15 e 24 anni è sceso, mediamente, di circa 13.900 persone al trimestre (in nero nel grafico), che passano a 9.600 se si esclude la grande recessione (complice di questo fenomeno potrebbe essere però l’invecchiamento della popolazione). Dall’introduzione del Jobs act, nel gennaio 2015, il numero degli occupati è invece aumentato di 6000 persone al trimestre (in rosso nel grafico), e nei due anni di ripresa precedenti l’entrata in vigore della riforma solo nel terzo trimestre del 2014 si è assistito a un aumento di posti di lavoro per i giovani.
Questa differenza complica l’interpretazione di quello che emerge dai dati sui disoccupati, che non permettono di chiarire se l’effetto sia da ricondurre semplicemente alla ripresa o alla ripresa e, insieme, al Jobs act.
L’andamento – anch’esso privo di rotture strutturali – mostra che nel periodo precrisi il numero dei disoccupati “giovani” è calato mediamente di 4.700 persone circa al mese (in nero nel grafico), mentre successivamente all’introduzione del Jobs act il numero dei disoccupati è calato di “sole” 3mila persone al mese (in rosso). D’altra parte nei due anni di ripresa precedenti l’entrata in vigore della riforma, il numero dei disoccupati in questa fascia d’età è rimasto mediamente invariato.
Da questa prospettiva, l’economia italiana non è riuscita quindi a tornare agli standard del periodo pre-crisi. Una spiegazione, per ipotesi, è possibile: i dati possono evidenziare non tanto che meno disoccupati trovino un posto di lavoro, quanto che sia aumentato il numero di persone precedentemente inattive che nello stesso tempo entrano nel mercato del lavoro come mostrano le statistiche (di nuovo trimestrali) sui neet, i giovani che non studiano e non sono in cerca di lavoro. I dati sono però disponibili dal 2006, non consentono quindi di fare un confronto pieno tra il periodo pre-crisi e quello post-crisi, che appare ambiguo.
Gli effetti del Jobs act e degli incentivi sull’occupazione giovanile non sono allora chiarissimi, ma l’analisi – puramente esplorativa – non sembra escludere che qualcosa sia successo. Anche se occorrono ulteriori verifiche in futuro.
(Dati Eurostat destagionalizzati, elaborati dall’autore con linguaggio di programmazione R. Rotture strutturali individuate con test Bai-Perron. Regressione locale (loess) calcolata con span = 0.75)