La Bundesbank ha detto che si è esagerato. I meccanismi tecnici sono troppo generosi. Il Cancelliere Angela Merkel, con un intervento decisamente irrituale, ha ribadito che non ritiene possibili altre operazioni di liquidità a lungo termine. Ma… chi gestisce la politica monetaria di Eurolandia?
C’è qualcosa di poco comprensibile nel gioco che l’élite tedesca sta giocando, e che non a caso è stato definito "calvinismo economico". Sembra più orientato a imporre principi che a disegnare una strategia efficace nel breve e nel lungo periodo. Se per la Merkel si può pensare a un "riflesso" elettorale – ma fino a che punto è giusto rincorrere gli umori, e non le ragioni, dell’opinione pubblica? – la Bundesbank sembra non avere giustificazioni.
Il motivo è semplice. La politica monetaria è innanzitutto gestione delle aspettative su crescita e inflazione. Le dichiarazioni della Merkel e del presidente della Bundebank Jens Weidmann le hanno modificate, unilateralmente. Prima, gli investitori cominciavano a chiedersi se fosse possibile un’altra operazione a lungo termine, magari a cinque anni. Ora pochi prevedono nuove iniziative. Non è detto che sia un male, ma un passo così gravido di conseguenze toccava al presidente Mario Draghi, come espressione dell’intero board, e non a una singola, ma influente, banca centrale.
La ferita, al meccanismo istituzionale che guida la politica monetaria, è profonda. Come è chiaro che dietro questa crisi si nasconde un conflitto culturale. La Bce sta allontanandosi dall’ortodossia Bundesbank. Non nel senso che diventa più compiacente verso l’allegra prodigalità dei governi o più tollerante sull’inflazione. Per nulla. Si sta invece adeguando alla situazione, cosa che la banca centrale tedesca non fa.
Una Grande recessione, dell’economia e del credito – lo insegnava anche Milton Friedman, parlando del Giappone – richiede una gestione della moneta molto diversa, e molto più generosa, di quella adatta a tempi normali. La Bce ha già compiuto alcuni passi falsi per seguire i suoi vecchi schemi: ha alzato i tassi a luglio 2008, quando il caro petrolio "mordeva" sulla crescita; li ha poi abbassati molto lentamente mentre la recessione si approfondiva (ad aprile 2009 la serie di tagli non si era ancora conclusa); e ad aprile 2011 è tornata ad alzarli. Troppo presto…
I tassi non sono tutto, in politica monetaria. Non sempre, almeno. È evidente però quali aspettative si siano create, percorrendo questa strada tortuosa: tra gennaio e maggio 2011, per esempio, l’euro – un termometro dell’orientamento di una banca centrale – è salito del 7,8%. Negli ultimi tempi l’offerta di moneta, che dovrebbe poter accelerare in una recessione, ha poi frenato bruscamente (e si è contratta in alcuni paesi, tra cui l’Italia) mentre la Bce di Jean-Claude Trichet si concentrava non sulla sua crescita – è questa che nel lungo periodo si trasforma in inflazione – ma sul suo livello…
L’austerità fiscale ha ulteriormente modificato il quadro. I tagli ai consumi pubblici cominciano a mordere: dal pil del quarto trimestre 2011, in calo dello 0,3%, per la prima hanno tolto qualcosa, uno 0,1%. Questo rigore libera le mani alla politica monetaria che – a parte le riforme strutturali, di lungo periodo – è ora l’unico strumento a disposizione per gli interventi anticiclici.
Il "rigore calvinista" della Bundesbank, in questa situazione, è allora fuori luogo. La Bce dovrà rassicurare i tedeschi, ovviamente, sul fronte dell'inflazione (che però non sembra essere preoccupante) ma ha soprattutto bisogno di un sano pragmatismo per ben gestire le aspettative degli operatori economici. Senza ostacoli sul suo cammino che non siano espressione di buone, e forse nuove, regole.