La «droga» della Bce ritarda il risanamento?

La Bce è accusata da più parti di seguire una politica monetaria sbagliata. Tassi troppo alti, si dice, tali da strozzare la crescita e aumentare gli oneri sui debiti per i governi. In realtà il rialzo di 25 punti base di luglio, e l’eventuale seconda stretta di fine anno, non possono essere davvero rilevanti ora che gli spread sono così elevati (1244 punti base per i decennali greci sul bund, 889 per i portoghesi, 353 per gli italiani).

Un gruppo di economisti di Nomura (Jens Sondergaard, Lefteris Farmakis, Sean Maloney) ha invece individuato un altro possibile errore della Bce. Diverso, persino opposto. Riguarda le generose iniezioni di liquidità nel sistema bancario, necessarie nei momenti di emergenza e ora – a loro avviso – decisamente controproducenti. Alcune banche sono così diventate «addicted», «dipendenti». Come da una droga.

L’obiettivo ufficiale di queste politiche definite "non standard" è quello di far funzionare il meccanismo di trasmissione che “applica” le decisioni sui tassi della Banca centrale europea al sistema bancario e quindi all’economia. Ora però l’eccessiva liquidità, secondo i tre economisti, sta creando troppa volatilità nei tassi di mercato, e rende difficile «estrarre aspettative sulla futura politica monetaria», che diventa così più opaca, non più trasparente.

Non è questo, però, l’argomento più rilevante della ricerca di Nomura. La politica della Bce, proseguono infatti gli analisti, sta anche «ritardando l’inevitabile». Due passi prima o poi devono essere fatti, secondo Sondergaard, Farmakis e Maloney, perché si esca dalla crisi: il settore creditizio dei paesi periferici deve essere risanato, cosa che avviene in genere con un deleveraging e/o la ricapitalizzazione delle banche; e la domanda interna di queste economie deve calare. Finora la generosa liquidità ha impedito che le cose precipitassero, muovendosi troppo rapidamente; ora però «sta mantenendo i tassi sui prestiti delle banche commerciali a livelli relativamente bassi, o invariati».

Cosa dovrebbe avvenire, invece? La ricerca di Nomura ricorda cosa è successo in Estonia, che fino al 1° gennaio 2011 era fuori da Eurolandia. Qui i tassi sui prestiti al consumo sono balzati, nel 2009, fino al 50 per cento mentre, si può aggiungere, il pil crollava del 13,9 per cento.

I soliti economisti astratti, incuranti delle conseguenze sociali? Può sembrare così, ma in realtà l’analisi pone una scelta non banale (che la storia ripropone spesso): meglio una crisi feroce e rapida o una prolungata, straziante, degenza?