Come un corso d’acqua. Se incontra un ostacolo, tenta di aggirarlo, oppure si ferma e si gonfia finché non trova lo spazio per proseguire il suo cammino. L’economia funziona spesso così, e la vicenda dello yuan lo dimostra bene.
Il ritorno cinese al crawling peg ha molte dimensioni. Quella diplomatica è dimostrata dai tempi scelti per annunciare una decisione non molto influente sul cambio – l’apprezzamento non è garantito – ma che arriva a una settimana da un G-20 dove Pechino avrebbe potuto subire forti pressioni internazionali.
Quello politico non è però l’aspetto fondamentale. Ci sono ragioni tutte economiche nella mossa, che non è semplicemente un ritorno al passato. La decisione di ieri è stata infatti preceduta dall’espansione dell’uso del renminbi per le operazioni di import-export in 20 città, rispetto alle precedenti cinque.
La moneta cinese potrà inoltre essere usata direttamente da tutti gli stranieri, e non solo dagli esportatori di Hong Kong, Macao e dei paesi dell’Asean. Questo passaggio – come nota Wensheng Peng della Barclays – «è neutrale rispetto alla domanda di valuta», anche se nel tempo potrebbe portare a nuovi canali per i flussi di finanziamenti, purché si torni a prevedere un possibile apprezzamento dello yuan.
Se si pensa che, in questa fase, sia le attese che le correnti di capitali sono deboli, si può capire il gioco delle autorità di Pechino: dare spazio a nuove aspettative sul cambio, comunque abbastanza limitate da non creare danni, e incentivare l’arrivo di risorse dall’estero. «È la giusta mossa da fare – ha spiegato ieri alla reuters Gao Shanwed della Essence Securities – nelle attuali circostanze di deboli aspettative di apprezzamento e deboli flussi di capitale».
Non manca però anche una dimensione tutta interna. Come avviene per l’acqua, se la pressione non riesce a far apprezzare il cambio nominale, prima o poi farà aumentare quello reale, cioè prezzi e salari. Come avviene spesso anche nella piccola Hong-Kong, che non a caso "usa" il settore immobiliare come valvola di scarico per le tensioni sulla valuta, il cambio fisso dello yuan ha sicuramente alimentato la bolla sulle case, che ora il partito sta cercando di sgonfiare, possibilmente senza danneggiare troppo l’economia. Nello stesso tempo, i salari stanno aumentando e di molto: +25% alla Honda, +30% alla Foxxconn, +20% in media. Di fronte alla carenza di offerta sui alcuni mercati del lavoro, ormai piuttosto differenziati, tredici province hanno permesso agli stipendi di salire, soprattutto nei settori ad alto valore aggiunto.
In un paese dove i profitti aumentano – ricorda Glenn Maguire di Société Générale Cross Asset Research – a un ritmo del 120% annuo, le maggiori spese saranno in gran parte assorbiti dalle aziende. «La Foxxconn – spiega – ha già annunciato che l’aumento del suo costo del lavoro del 30% comporterà un calo dei margini di profitto pari… all’un per cento…». Poca cosa. Aumenterà però in questo modo la domanda domestica, che si concentra su beni di consumo e non durevoli «dove – aggiunge Maguire – non stanno aumentando i salari», e quindi anche le pressioni sull’inflazione, in gran parte riassorbite però dagli aumenti di produttività, ancora piuttosto rapidi. In ogni caso, la domanda interna potrà sostituire almeno parzialmente quella esterna, e il cambio nominale potrà assorbire le pressioni sull’economia reale.