Henry Simons, un liberista contro le grandi imprese

Henry Simons, uno dei fondatori della prima Scuola di Chicago in economia, fu uno strenuo liberista. Il suo credo fu il “laissez-faire” che però, pensava, non può essere nel mondo moderno una politica del “far nulla”. Richiede piuttosto un “programma positivo”: regole per evitare la discrezionalità delle autorità, e per creare e sostenere una vera concorrenza. Anche nel campo economico, scrisse, “la libertà fondamentale è ovviamente quella di uomini con poteri uguali”

“Uomini” (e, naturalmente, “donne”) è qui la parola più importante. Secondo Simons una società non è una “persona giuridica” paragonabile, per diritti e libertà ‘naturali’, alle persone fisiche, ma uno strumento artificiale, legale, per ottenere obiettivi economici. Le corporations possono inoltre limitare la concorrenza e alterare la struttura dell’economia quando accumulano troppo potere: “Le società stanno semplicemente impadronendosi del nostro sistema economico (e politica), semplicemente a causa di un’assurda generosità e mancanza di attenzione da parte degli stati nel concedere poteri a queste creature legali”. Le proposte di Simons, avanzate durante gli anni Trenta e Quaranta del XX secolo, suonano oggi rivoluzionarie: “Non c’è alcuna giustificazione, con l’eccezione di un gruppo ristretto e specializzato di imprese, nel permettere alle società di possedere azioni di altre società  – e nessuna ragionevole scusa, a parte il caso delle utilities, per [l’esistenza di] società da centinaia di milioni di dollari, indipendentemente dalla loro forma di proprietà”. Secondo lui, sarebbe meglio se le società di investimenti possedessero azioni senza diritto di voto, e nel settore bancario consigliava una stretta divisione del lavoro tra diverse imprese e regole per evitare un eccessivo ricorso al debito a breve termine. La Grande crisi e il liberalismo del libero mercato erano il cuore del suo pensiero.

Dopo Simons, studiosi di economia e leader (da Ronald Reagan a Alan Greenspan) sono stati vittime della “malattia di Ayn Rand”, l’idea – avanzata dalla scrittice russoamericana che pubblico “Capitalismo, l’ideale sconosciuto – che le grandi imprese erano “la minoranza perseguitata dell’America”, quella– totalmente nuova – che i mercati e la concorrenza sono danneggiati solo dai governi e mai dalle grandi aziende, dagli oligopoli o dai monopoli, e la conseguente confusione tra le libertà economiche individuali e i poteri delle società.

Forse oggi, dopo una crisi causata dalle grandi imprese, anche pubbliche, e un salvataggio che ha creato un oligopolio finanziario, possiamo chiederci: è giuridicamente ed economicamente sano dare a entità “a responsabilità limitata” persino più poteri di individui pienamente responsabili?