L’Unione europea sta adottando nuove regole per gli hedge funds e i private equity funds. Dovranno avere una sede ed essere gestiti nella Ue, limitare il loro leverage, e assicurare più trasparenza.
Questa riforma solleva tre questioni. La prima riguarda la libertà economica individuale: è ridotta da queste regole? Per rispondere a questa domanda bisogna chiedersi se è vietato, ai fondatori di un hedge fund o di un private equity fund, operare nell’Unione. La risposta è no. Devono solo seguire alcune regole, simili alle norme sulla circolazione stradale. I costi sono insostenibili? Non sembra.
La seconda questione è se queste regole sono una forma di “protezionismo travestito”. In generale, solo il requisito della sede nella Eu può diventare un costo supplementare per un fondo estero e limitare la concorrenza. Questa regola può forse essere rivista, ma gli investitori europei hanno bisogno di individuare – e, nel caso, di poter effettivamente chiamare in giudizio – chi gestisce i loro soldi.
La terza questione è se queste regole sono convenienti. È vero che il problema più pressante, quello dell’uso e dell’abuso dei debiti a breve termine, non è ancora affrontato in modo ampio. Gli hedge funds sono solo una parte della storia. In ogni caso, la trasparenza, che è reciproca, è più che utile. E ogni altra richiesta – una sede nella Ue, un limite al leveraging, e così via – può stabilizzare i mercati finanziari e persino creare nuove opportunità. Naturalmente, la Ue dovrà valutare i reali effetti economici e finanziari di queste regole, che però non sono eterne e possono essere cambiate se dovessero danneggiare l’economia europea.
Troppe persone confondono oggi, la libertà individuale economica, i diritti delle imprese, l’assenza di regole, e la convenienza economica. Per favore, no.