In Ucraina la prima crisi dell’era della «guerra fresca»

La piazza che in nome dell’Europa caccia il presidente, il quale chiede aiuto a Mosca. La Russia che interviene a difesa delle sue basi militari. Angela Merkel che coglie l’occasione per offrire assistenza a Kiev, ma non chiude i ponti con Vladimir Putin. Barack Obama che non può restare a guardare quanto avviene su uno scacchiere troppo importante per gli Stati Uniti. Dietro tutto questo, i tanti oleodotti che attraversano l’Ucraina e portano carburante all’Europa e dollari a Mosca.

 

È una situazione davvero complessa, quella scoppiata a Kiev. Emblematica. Non sono più i tempi della Guerra fredda, che sono andati via per sempre. Un mondo bipolare con due poli isolati l’uno dall’altro difficilmente si ripresenterà, nel futuro vicino. Quella dell’Ucraina è però la prima grande crisi – nel senso che coinvolge le grandi potenze – del nuovo mondo dell’interdipendenza, nell’era che potrebbe essere chiamata della Guerra fresca.

 

Guerra fresca è il titolo di un libro di Noah Feldman («Cool War. The Future of Global Competition», Random House), ed è il concetto con cui l’autore, docente alla Harvard University, cerca di analizzare il confronto tra Cina e Stati Uniti nello scacchiere dell’Asia Orientale, dove si affacciano la Cina con le sue aspirazioni di controllo su Taiwan, alleato degli Usa, e altri importanti alleati di Washington, come la Corea del Sud, il Giappone, ma anche le Filippine e persino l’Australia, i quali potrebbero sentirsi minacciati dalle mire egemoniche regionali cinesi.

 

È un’area, quella asiatica, molto interdipendente dal punto di vista economico, e con stretti legami con gli Usa. Circostanze queste che non impediscono – come aveva insegnato l’esperto di relazioni internazionali Kenneth Waltz, uno dei maestri della scuola realista – la nascita di frizioni, tensioni e persino conflitti. Anzi. Negli anni precedenti la prima guerra mondiale, Gran Bretagna e Germania erano ciascuno il secondo miglior cliente dell’altro, e la Francia aveva solidi legami con Berlino. L'era atomica non era ancora iniziata e la guerra, sfatando il mito del “dolce commercio” che porta la pace, scoppiò ugualmente. Così come l’Unione europea e quella monetaria, che sul quel mito si era fondata, conosce oggi mille frizioni e mille spinte centrifughe, che occorrerebbe affrontare senza paraocchi.

 

La sveglia viene ora dall’Ucraina. Nel nome, non a caso, dell’Europa e della sua strategia – aggressiva, anche se non lo sembra – dell’allargamento. È quindi possibile dire che la “guerra fresca”, invece che sullo scacchiere cinese, sia esplosa su quello europeo. Non è una sorpresa. Il mondo di oggi non è più bipolare. In presenza di una potenza con un innegabile primato ma non certo onnipotente, come gli Stati Uniti, prevede diverse grandi potenze non separate dalle barriere insuperabili degli oceani: Gran Bretagna, Francia e Germania – a volte unite nell’Europa, a volte separate – Russia, India, Cina, anche Giappone. Affiancate da molti paesi di media statura che aspirano a un ruolo regionale su aree delicate, come per esempio Turchia, Iran, Pakistan, Indonesia, anche il lontano SudAfrica.

 

L’economia, come avviene in modo emblematico e drammatico per l’Ucraina, tiene insieme e separa, crea interessi comuni e frizioni tutto questo mondo. In questo senso, quanto accade a Kiev può essere allora considerato un primo esempio di quanto potrebbe avvenire anche in altre aree; e un banco di prova per tutte le grandi potenze del mondo di oggi.