Wolfgang Schäuble, il ministro delle finanze tedesco, è molto severo nel suo articolo sul Financial Times – tradotto anche dal Sole 24 Ore – sulla crisi greca e le sue lezioni per l’Unione monetaria. Per gli aiuti ai paesi in difficoltà egli auspica “rigide clausole e un costo proibitivo”, e chiede di “escludere il paese interessato da ogni processo decisionale”. Non solo: per proteggere la credibilità dell’Unione monetaria europea, propone di sospendere “il diritto di voto degli stati membri dell’Eurogruppo che non sono collaborativi” e anche di forzare un paese “nell’impossibilità di consolidare i propri bilanci o ripristinare la propria competitività” a ”uscire dall’unione monetaria pur avendo la possibilità di rimanere membro dell’Ue”
Questa severità ha molti, condivisibili, scopi: consolidare i debiti pubblici, ottenere la stabilità finanziaria, mantenere l’euro forte.
C’è una parola, però che Schäuble non ha scritto: crescita. Ha parlato solo di competitività, un concetto privo di senso se riferito a un’intera economia. Non propone così una politica comune per stimolare l’attività economica. Non è una cosa saggia: l’Unione economica monetaria ha bisogno innanzitutto di una forte crescita economica, una radicale riforma dei mercati e un clima favorevole all’innovazione.
Così non va: secondo diversi studiosi, una strategia di crescita guidata dalle esportazioni, come quella adottata dalla Germania, è molto simile a una politica di “beggar-thy-neighbor”, “rendi misero il tuo vicino”. L’Unione economia monetaria merita una leadership migliore.