Farsi più deboli per diventare più forti. Come nel judo. La mossa della Banca centrale europea, che ha escluso i titoli greci dalle aste di liquidità minacciando implicitamente di escludere il paese dal quantitative easing e di chiudere del tutto i rubinetti della liquidità dell’Ela, l’Emergency liquidity assistance, ha sollevato molte critiche (oltre, ovviamente, a tanti elogi) da destra e da sinistra. Hanno sorpreso soprattutto i tempi: il governo greco è in carica da una decina di giorni e non ha ancora incontrato il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble. Innegabilmente, la mossa indebolisce Atene. Non sorprende quindi che sia tornato attuale anche il tema del ruolo della Bce in un sistema democratico che è “il” problema delle banche centrali (molto discusso non a caso negli Stati Uniti). Molti blog di economisti (per esempio, con qualche perplessità Francesco Saraceno), stanno però valutando un altro aspetto. Che gioco stanno giocando Grecia e Bce?
La domanda è sorta dopo che è stato recuperato – da Frances Coppola – un twitt del ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis di giugno 2013, sette mesi fa. In risposta a un messaggio di “Brancaleone”, che gli chiedeva: «uhm, e cosa fate in caso di un ricatto (blackmail, in inglese) della Bce, in stile Cipro? » (il riferimento è alla chiusura dell’Ela che scatenò di fatto la crisi cipriota). Varoufakis, in tempi non sospetti rispose: «Sarebbe una minaccia non credibile. (P.es. “Vi chiudiamo l’Ela”, “Ok, fatelo”)», non senza un buffo errore in inglese: “do ahead”, scrisse; invece, forse, di “go ahead”.
Varoufakis, quindi, aveva previsto quanto poteva accadere. La Bce, del resto, aveva già minacciato di escludere dall’Ela le banche irlandesi nel 2010, e aveva poi effettivamente chiuso i rubinetti alla Laiki Bank e la Bank of Cyprus, costringendole a chiudere. Perché, allora, sfidare la banca centrale? Ad alcuni economisti, Jacques Sapir innanzitutto, è allora venuta in mente la strategia della coercive deficiency (letteralmente: carenza coercitiva), elaborata da Thomas Schelling, l’economista premio Nobel esperto di teoria dei giochi. Il termine nasce in realtà dal lavoro dello storico e politologo Lucius Wilderming, e descriveva originariamente una situazione in cui agenzie pubbliche spendono senza avere i finanziamenti costringendo con le loro carenze di fondi il governo a intervenire per risanare i conti. L’idea è stata poi estesa da Schelling a tutte quelle situazioni in cui un “giocatore”, la Grecia, è debole in partenza e sa di esserlo. In una situazione come questa, un’idea vincente può essere quella di indebolirsi ulteriormente, di portarsi fino all’orlo del burrone per costringere gli altri, in questo caso la Germania, a salvarlo.
È verosimile che il gioco della Grecia sia proprio questo. Un gioco rischiosissimo, che non garantisce il successo, ma che è forse l’unico che Atene possa giocare per ottenere qualcosa. Qualcuno, come Coppola, ha anche immaginato che la Bce sia in qualche modo complice di questa strategia. Non sostenga quindi la Germania, ma il “gioco” della coercive deficiency in sé. La Banca centrale europea, in questo senso, starebbe facendo pressioni sulla Grecia ma anche sulla Germania. Il vero obiettivo sarebbe quello di spingere le due parti a negoziare davvero. Non è facile da dimostrare che le intenzioni del consiglio direttivo della Bce siano state davvero queste. È un fatto però che la decisione presa a Francoforte vada oggettivamente anche in questo senso.