Draghi, Tsipras e la fine della leadership tedesca

 

Mario Draghi e Alexis Tsipras: non è possibile immaginare due personaggi più lontani. Un tecnico e un politico, il presidente dell’istituzione chiamata a preservare la stabilità monetaria di Eurolandia e il politico che promette di travolgere la politica di rigore adottata, non senza successive correzioni, da Bruxelles per affrontare la crisi più difficile dell’Unione. È innegabile però che le azioni di questi due protagonisti siano state di fatto, e del tutto involontariamente, convergenti nel mettere la parola fine a ogni possibilità di una leadership tedesca sull’Europa.

 

Sia chiaro, la Germania resterà un gigante politico ed economico, con i suoi 80 milioni di abitanti e un pil di 3.600 miliardi di euro nel 2013, più del doppio di quello italiano. Le sue aziende resteranno temibili concorrenti per ogni altra impresa europea e mondiale, e nessuna regola comunitaria riuscirà davvero a ridurre quel surplus commerciale che è frutto innanzitutto della qualità dei prodotti tedeschi. Il suo sistema sociale continuerà a essere uno dei più stabili, e meglio integrati d’Europa.

 

È però evidente che la Germania non riuscirà più a esportare non tanto il suo modello, unico e irripetibile, quanto la sua cultura, che ha cercato di imporre all’intera Eurolandia. Il “calvinismo economico” – così è stato chiamato – con l’idea della peccaminosità del debito e quella della necessità di “punire” i debitori non troverà più spazio. Non è un via libera alle finanze allegre dei governi: i problemi generati dal debito eccessivo restano tutti da risolvere. È il rifiuto di un’impostazione tanto rigida da sfiorare l’ideologia. La gestione dell’economia richiede molto pragmatismo, e una valutazione attenta di costi e benefici, e null’altro.

 

Il messaggio che arriva da Atene, dove l’austerità non ha generato la crescita e il benessere promessi, ma ha ulteriormente ridotto la sostenibilità del debito, è chiarissimo. Syriza sembra abbastanza pragmatica da evitare un disastro per Eurolandia e la Grecia, ma non sarà certo l’impostazione tedesca a fornire la soluzione. Allo stesso modo, il quantitative easing della Bce, introdotto dopo un tortuoso cammino, ha costretto all’isolamento le rigide posizioni tedesche che puntavano a porre in secondo piano l’obiettivo prioritario della politica monetaria, l’inflazione, per on favorire l’ulteriore indebitamento dei governi. Promette di portare il livello di bilancio della banca centrale ai livelli del 2012 e poco più, e quindi non è una misura estrema e ha già ottenuto l’effetto di riportare in alto le aspettative di inflazione degli investitori.

 

Resta però il problema della leadership dell’Europa. Non può essere affidata, questo è oggi semplicemente più chiaro, a un singolo paese o a un singolo governo. Non basta più però che sia la risultante dell’equilibrio tra i singoli paesi, né è più sufficiente che l’intero processo sia attribuito a un’alta burocrazia, per quanto efficiente. All’Europa, ormai in difficoltà nell’opinione pubblica di troppi paesi, occorre una cultura nuova, che ridia una forte spinta a un progetto di ampio respiro. Non utopistico o idealistico, ma neanche un cammino di piccoli passi.