Manager e dipendenti Usa, meno diseguaglianze negli stipendi

A volte i mercati sorprendono. Si muovono in senso opposto a quello che una consolidata teoria prevederebbe. Accade oggi nel mondo del lavoro americano, dove gli stipendi dei dipendenti e quelli dei loro manager si stanno avvicinando, riducendo qualche diseguaglianza di troppo nei redditi; anche se sono i lavoratori, e non i dirigenti, a sentire di più i morsi della disoccupazione.

Il sorprendente fenomeno è stato sottolineato da Robert Mellman di JPMorgan, in una recente ricerca. I manager, spiega, sopportano negli Usa un tasso di disoccupazione relativamente basso, il 4,9% in giugno, mentre gli altri lavoratori uno del 12,2%. Se l’offerta di lavoro è così ampia rispetto alla domanda, gli stipendi dovrebbero rallentare ed effettivamente le statistiche aggregate mostrano una crescita via via sempre meno rapida (dal +3,9% annuo a giugno 2007 all’1,3% semestrale annualizzato della prima metà del 2010) dei redditi da lavoro medi orari. “Il buonsenso vorrebbe che che i tassi di disoccupazione particolarmente alti per i lavoratori non-manager si traducano in una pressione al ribasso particolarmente forte sugli aumenti dei salari medi orari per questi lavoratori”, spiega Mellman; ma non è così.

Le cose, negli Stati Uniti, vanno anzi in senso opposto. Gli stipendi medi orari dei manager sono saliti, nei dodici mesi finiti a giugno, dello 0,7%, mentre quelli degli altri lavoratori (produzione e non-supervisori) del 2,3 per cento. Se si passa ai dati settimanali, per evitare distorsioni derivanti della durata variabile della giornata lavorativa, il fenomeno non cambia: +1,2% annuo per i supervisori, +3,6% per gli altri.

Melmann riconosce di essere di fronte a un enigma, e non è in grado di darne una spiegazione definitiva. Sicuramente il fenomeno risente dell’aumento della produzione nei settori manifatturieri e quindi dell’aumento dei salari dei operai, ma anche tenendo conto di questo fatto, l’aspetto più rilevante – nota la ricerca – resta il forte rallentamento degli stipendi dei manager. Anche perché il relativo riavvicinamento dei redditi sembra essere avvenuto all’interno dei settori e non rappresenta un semplice effetto statistico di fenomeni diversi avvenuti in comparti differenti. Dagli ultimi dati sembra proprio che sia in corso quindi un riequilibrio dei salari.

La vecchia teoria che invita a considerare, negli stipendii, anche aspetti non-monetari come la sicurezza del posto del lavoro non sembra offrire molta più luce. Se fosse vera, implicherebbe che i lavoratori non manager siano oggi più precari e vedano il loro posto più a rischio dei manager; ma non è così. La perdita di occupazione per le due categorie – nota Melmann – è stata del tutto analoga e l’unica “garanzia” in più per i dirigenti è data dal fatto che la loro quota sul totale dell’occupazione si è ora stabilizzata dopo diversi anni di stabile flessione.

Per risolvere il mistero conservando valida la teoria della domanda e dell’offerta, una soluzione – che richiede però verifiche empiriche non facili – è forse quella che richiama la forte diversificazione dei mercati del lavoro, e invoca una sorta di “fallacia dell’aggregazione”, un errore logico nel momento in cui si sommano dati di settori diversi. Sarebbe un approccio realistico, con molte conseguenze forse per le politiche dell’occupazione, spesso troppo semplicistiche.