Finalmente, l’istruzione elementare è un diritto, in India. Dal 1° aprile il Right of Children to Free and Compulsory Education Act è entrato in vigore, 63 anni dopo l’indipendenza: prevede l’istruzione obbligatoria da 6 ai 14 anni, mentre le scuole private dovranno riservare il 25% dei posti ai bimbi poveri. “L’India si aggiungerà a un gruppo di pochi paesi nel mondo, con una legge che rende l’istruzione un diritto fondamentale di ogni bambino”; ha scritto The Hindu, ma in realtà l’India è il 135° paese al mondo ad adottare questo sistema, che richiederà 28 miliardi di euro, in cinque anni, per la sua applicazione.
L’India è quindi diventata, ora, uno stato meno elitario. Non bisogna infatti farsi illudere dalla democrazia formale e dai successi economici del paese. Il sistema delle caste è dappertutto e, con una popolazione di oltre un miliardo di persone non è stato così difficile dar vita a una solida élite economica. Secondo William J. Baumol, il modello economico indiano è una forma di capitalismo a guida statale con un pizzico – si può aggiungere – di capitalismo oligarchico, poco orientato alla crescita. L'approccio elitario all’istruzione ha sicuramente avuto una conseguenza non voluta: il successo dell’information technology, risultato più di eventi “casuali” che di una strategia politica. Questo settore è importante, copre il 5,9% del Pil del paese (dati 2009), ma dà occupazione a 2,3 milioni di persone, su una forza lavoro di mezzo miliardo.
La nuova legge è comunque ambiziosa. Vuole sviluppare “la conoscenza, le potenzialità e il talento del bambino”, ma anche renderlo il bambino libero di paure, traumi e ansia, aiutandolo a esprimere liberamente idee”. Un obiettivo nobile quanto difficile.